Da Atlanta ad Astana. Dalla sfida tra i due candidati a presidente degli Stati Uniti e le preoccupazioni per Joe Biden, all’incontro dei leader di quello che viene definito dagli esperti il “blocco anti-Nato”. Quello dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai. Un blocco che dal 2001 a oggi si è contraddistinto per un progressivo allargamento e per una sempre maggiore saldatura tra le due grandi potenze eurasiatiche, Cina e Russia. E adesso, questo vertice in Kazakistan, arriva in un momento particolare per i rapporti tra questi due Paesi. Xi Jinping e Vladimir Putin ieri hanno avuto un bilaterale in cui hanno parlato di “età dell’oro” nei rapporti sino-russi, di “amicizia duratura”, di relazioni “ai massimi livelli” per tutelare i rispettivi interessi. Ma tra le righe delle dichiarazioni, si celano anche le complessità di una partnership che difficilmente riesce a essere a tutti gli effetti un’alleanza.

Dall’inizio della guerra in Ucraina, tra Mosca e Pechino si parla di “amicizia senza limiti”. Ma come spesso accade tra due superpotenze con velleità imperiali, il concetto di alleanza è difficile definire in modo netto. La visita di Putin in Corea del Nord, alla corte di Kim Jong-un, ha rafforzato la partnership tra Mosca e Pyongyang (cliente di Pechino), ma secondo molti esperti ha anche fatto accendere i riflettori del Partito comunista cinese su un rapporto che rischia di essere un punto interrogativo per l’agenda dell’Impero di Mezzo. Ieri, inoltre, il Wall Street Journal ha presentato il vertice di Astana ricordando la rivalità più o meno occulta tra le due grandi potenze in quello che un tempo era il “cortile di casa” della Russia, l’Asia centrale, e che ora invece è sempre più nell’orbita cinese, e che gradualmente sta guardando sempre di più anche all’Occidente.

Infine, la guerra in Ucraina ha reso Mosca e Pechino sempre più legate in termini economici, energetici e strategici. Ma se la Russia sa che ora dipende quasi esclusivamente dal benestare cinese, allo stesso tempo Xi deve gestire la pressione di un Occidente, e in particolare degli Stati Uniti, sempre più frustrati dal fatto che la Repubblica popolare non convinca Putin a desistere dall’invasione. E questa sensazione è stata spiegata ieri a Bloomberg dal presidente finlandese Alex Stubb, secondo il quale Pechino, per il suo ascendente su Mosca, potrebbe fare interrompere la guerra in Ucraina “con una telefonata”. Putin sa che si trova in una posizione difficile, ma sa anche che Xi non è in una situazione semplice. Il leader cinese non può fornire assist agli Stati Uniti, e ha necessità di sostenere la Federazione Russa in questa guerra che ha isolato il Paese rispetto ai suoi clienti europei ma che mette anche in crisi Biden. E in parallelo, Putin ha una serie di partnership con cui può irritare l’alleato asiatico, a partire da quell’India il cui premier, Narendra Modi, sarà presto a Mosca.

In questa partita a scacchi, lo “zar” ha realizzato anche un’altra mossa: quella di inserire nella Sco la Bielorussia. Uno Stato che gli esperti considerano ormai a tutti gli effetti un Paese-vassallo della Russia, ma che permette a Putin di avere un fedelissimo alleato nell’organizzazione, che ormai rischia di essere considerata sempre di più la risposta orientale all’Alleanza atlantica. L’ambizione iniziale sul contrasto al terrorismo e il sostegno alla sicurezza sembra dunque avere cambiato radicalmente i propri connotati. E mentre si gioca la lotta tra gli amici-rivali di Cina e Russia, nella partita entrano anche altri attori fondamentali. Uno di questi è certamente la Turchia, il cui presidente, Recep Tayyip Erdogan, ieri ha incontrato proprio il suo omologo russo. “La Turchia continuerà a fare di tutto per raggiungere la pace. Riteniamo fondamentale prima di tutto giungere a un cessate il fuoco nel più breve tempo possibile” ha detto Erdogan a Putin durante l’incontro bilaterale in Kazakistan.

“Con la cessazione delle ostilità si porranno le basi per un negoziato che conduca a una pace giusta. Una strada che riteniamo possibile”, ha continuato il “sultano”. E queste parole, che arrivano da quello che è anche un leader di una potenza Nato, sono segnali importanti, che ricordano come Ankara non abbia mai dismesso il ruolo di potenziale mediatrice tra Russia e Ucraina. Ipotesi difficile, soprattutto perché a giocare la partita sono almeno tre superpotenze. Ma è chiaro che la Turchia voglia ritornare in pista nella scacchiera della diplomazia. E dopo le parole di Viktor Orban a Kiev sull’eventualità di un rapido cessate il fuoco per facilitare un negoziato di pace, le frasi di Erdogan sembrano dimostrare una certa continuità tra questi due attori legati anche dall’appartenenza all’Alleanza atlantica. Un incrocio di strategie, agende e scenari che fanno capire come il mondo al di là dell’Occidente si muove incessantemente per rafforzare il proprio ruolo. E tutto questo mentre l’Europa e gli Stati Uniti appaiono con leadership sempre più fragili.