Bruxelles e Mosca non sono mai state così lontane come il 9 maggio scorso, festa dell’Europa e della vittoria contro il nazismo. Mentre a Palazzo Berlaymont, sede della Commissione, hanno issato la bandiera ucraina, Ursula von der Leyen era a Kyiv, «il posto migliore per festeggiare».

Nelle stesse ore sulla Piazza Rossa sfilavano le truppe di Vladimir Putin, nonostante la vistosa assenza di carri armati e aerei. In un’atmosfera inedita di fretta e nervosismo, il presidente russo ha attaccato l’Occidente sfoderando il solito repertorio vittimista. E ha usato le vittorie del passato sovietico per giustificare il presente imperialista di un’invasione in stallo. Dopo quindici mesi e decine di migliaia di soldati persi.

Orizzonti opposti, quelli di Bruxelles e Mosca. E non poteva essere altrimenti. In ballo non c’è una guerra regionale, ma l’ordine mondiale. Nel giorno della sua festa l’Ue non ha avuto esitazioni: l’Ucraina deve entrare nella famiglia europea. Con la sua resistenza eroica e dignitosa ha dimostrato in quale parte del mondo vuole vivere. E Kyiv, con il sangue dei suoi cittadini, sta difendendo anche i valori europei di libertà e democrazia. Troppo spesso dati per scontati.

L’Europa ha molti motivi per festeggiare il suo compleanno, con buona pace dei sovranisti che hanno provato a distruggere la casa comune. Ma ne ha altrettanti per riflettere e rilanciare. La guerra di Putin ha svelato, se non fosse abbastanza chiaro, quanto sia urgente la costruzione di una difesa comune. Se ne parla da decenni. Ma ormai siamo a un punto di non ritorno: serve un esercito unico dei ventisette, non ci sono alternative. La cosiddetta autonomia strategica non può restare un miraggio. L’adesione ai valori del Patto Atlantico non devono essere in discussione, ma una vera politica estera comune non è più rinviabile davanti a quello che succede nel mondo. Dalla Russia alla Cina.

Oggi l’Europa continua a essere poco più che spettatrice di una guerra che si combatte alle soglie di casa sua. L’iniziativa diplomatica è stata impalpabile. Le sanzioni al regime di Putin rappresentano un’iniziativa necessaria, a suo modo storica, ma non sono risolutive. Il piano per la produzione e l’acquisto congiunto di munizioni è un altro passo concreto. Nonostante i distinguo dell’Ungheria di Orban, ormai sempre più vicina a Mosca.

Gli sforzi di Bruxelles vanno incoraggiati in ogni modo. Il futuro dell’Ue non può non passare da un progetto comune per la sua sicurezza interna ed esterna. Così potremo coltivare i nostri interessi e cominciare a sederci con autorevolezza ai tavoli internazionali.

A una condizione. La difesa comune passa inevitabilmente da un serio investimento sul riarmo. E non si può cedere al populismo vestito da pacifismo di chi organizza staffette per l’umanità appena si paventa l’acquisto di armi. La realtà smentisce qualunque slogan. Negli ultimi vent’anni la spesa complessiva per la difesa dell’Ue è aumentata solo del 20 per cento, rispetto al 66 per cento degli Stati Uniti, a quasi il 300 della Russia e al 600 della Cina.

La nuova integrazione europea si gioca in questo campo. L’obiettivo è sempre lo stesso: realizzare quegli Stati Uniti d’Europa evocati da più parti, senza arrendersi alla somma dei soliti interessi nazionali.
Difesa comune e politica estera sono le due chiavi per dare ancora più senso al progetto europeo. Ne va del nostro futuro. Per essere più forti davanti alle sfide di un mondo che è già cambiato, mentre noi pensavamo ad altro.