L’Unione europea deve prepararsi. È questo l’ordine arrivato da Bruxelles, che dopo i piani di alcuni singoli Paesi membri, adesso prova a fare qualcosa a livello continentale con il documento “Eu Preparedness Union Strategy”, la “Strategia dell’Unione europea per la preparazione”.

Le riserve strategiche

Secondo la commissaria per la gestione delle crisi, Hadja Lahbib, l’UE deve pensare seriamente a delle “riserve strategiche” di attrezzature mediche, di mezzi di trasporto, di risorse per attacchi chimici, nucleari o batteriologici, scorte di cibo, beni di prima necessità, acqua, strumenti per l’energia elettrica. Un sistema di stoccaggio unico, che aiuti a rispondere a emergenze di vario tipo. E questo vale anche i singoli cittadini, che a detta di Lahbib e dell’altra commissaria, Roxana Minzatu, dovrebbero essere pronti per resistere 72 ore. Per l’alta funzionaria belga, c’è stato anche il tempo di una risposta satirica che ha lasciato perplessi in molti. Lhabib ha detto di avere in casa tutto l’occorrente per preparare una pasta alla puttanesca e di portare sempre con sé tutto il necessario per qualsiasi emergenza, dal power bank a un coltellino svizzero. La commissaria ha fatto di tutto per smorzare i toni, provocando anche una certa critica da parte chi considera quanto fatto da Bruxelles del “terrorismo psicologico”. “Essere consapevoli dei pericoli e prepararsi ad affrontarli è l’esatto opposto di creare panico. Al contrario, significa evitare panico e reazioni irrazionali, come quelle che abbiamo visto durante la pandemia” ha detto Lhabib.

Ma al netto del dibattito sulla commissaria e le sue risposte, quanto ideato dall’Ue è in effetti un tema serio, che si inserisce in un quadro di tensioni geopolitiche a cui l’Europa deve farsi trovare pronta. Il Vecchio Continente, dopo il covid, la guerra in Ucraina e le varie emergenze ambientali, non può certo sentirsi immune da situazioni di rischio. Ma quello che preoccupa l’Ue è anche ciò che riserva il futuro, dove appare sempre più vaso di coccio tra vasi di ferro, divisa e incapace a ergersi come interlocutore con le superpotenze. La guerra in Ucraina, il processo di pace imposto da Donald Trump (col placet del presidente russo Vladimir Putin) e il pericolo di un ritorno alle sfere di influenza in cui l’Europa, di fatto, è di nuovo il palcoscenico di una spartizione geostrategica sono elementi che lasciano gli esperti e i leader Ue col fiato sospeso. E se fare affidamento su Washington non è più considerata una certezza, alle porte si apre un futuro di dubbi e (forse) anche di “liberi tutti”.

La preoccupazione di Zelensky

La conferma è arrivata anche ieri dalla stessa diplomazia europea. Il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, si è recato a Mosca per discutere di “pace e sicurezza energetica” con il governo russo. Ulteriore conferma che Budapest guarda al Cremlino e all’attuale Casa Bianca per la propria politica estera e confida nel percorso di pace promosso da The Donald. Mentre nelle stesse ore, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è partito alla volta di Parigi per incontrare il presidente francese Emmanuel Macron. Per i due leader, il summit è servito soprattutto a preparare quanto sarà discusso oggi nella capitale francese alla riunione dei cosiddetti “volenterosi”, cioè quei Paesi che potrebbero partecipare a un’eventuale missione di pace in Ucraina. Ma ieri, Igor Jovkva, consigliere di Zelensky, è stato chiaro: Kiev ha bisogno di soldati europei “pronti a combattere”. “Non è la quantità che conta – ha affermato Jovka – È anche la loro volontà di combattere, di difendersi, di attrezzarsi e di capire che l’Ucraina è una parte essenziale della sicurezza europea. Non abbiamo bisogno di missioni di mantenimento della pace”. E l’avvertimento mostra chiaramente i timori del Paese invaso, che non vede in Putin un interlocutore credibile e in grado di mantenere le promesse siglate in un eventuale accordo di pace. Accordo che, secondo il premier britannico Keir Starmer, deve prevedere che “la Russia sia chiamata a rispondere per le riprovevoli azioni”. Ma la preoccupazione di Zelensky e dell’Ue è legata soprattutto alle mosse di Trump. Dall’amministrazione repubblicana continuano ad arrivare segnali negativi nei riguardi di Kiev e del Vecchio Continente. Ieri Trump è tornato anche a parlare di Groenlandia. “Ci serve, dobbiamo averla” ha detto il tycoon. E oggi è attesa la visita nell’isola artica del vicepresidente Jd Vance. Tour dal profilo basso dopo le tensioni con la Danimarca, ma sempre utile per avvertire gli “alleati” euroatlantici.