The $64,000 Question. Rischioso strologare su chi voterà, rischioso su cosa voterà. Ma una cosa si può dire, senza per forza votarsi alla solita smentita del giorno dopo. È stata una campagna elettorale tra le peggiori che si ricordino. È vissuta sulle piccole risse intorno alle liste d’attesa, alla social card, all’hot spot di Shenjin, alle mossette nazionalpopolari di Meloni e allo chicchismo policromo di Schlein. Ha sollecitato dibattiti seriosi sulle gaffe dei ministri, sui saluti romani, sui manganelli della polizia fascista, sulle catene ungheresi, sull’ombra sempiterna della dittatura. Carta conosciuta? Certo, quale campagna elettorale non ha fatto ricorso al richiamo della foresta? Agli artifici di una comunicazione farlocca? Alla finta par condicio dei mezzibusti?

La peggiore campagna elettorale mai vista

E questa, tuttavia, è stata la peggiore campagna elettorale mai vista. Perché ha avuto la colpa imperdonabile di tacere sulla posta in gioco, di non dire agli italiani che domani e dopodomani saranno chiamati a esprimersi sull’Europa, non sui bonus o sulle tasse. E non l’Europa che conosciamo dai tempi remoti del Trattato di Roma. Non più l’Europa della competizione con il comunismo sovietico, dello scudo americano, delle sbandate terzomondiste, degli affari con le terre del petrolio, quell’Europa irenica fino all’arroganza, fin troppo sicura dei propri valori e dei propri confini. Ma invece un’Europa inusitatamente messa in mezzo tra atlantismo in ritirata e neoimperialismo slavo, tra le spinte delle autocrazie orientali e l’illusione della torre d’avorio, tra terrorismo e stragi di civili. Tra guerra e pace. Un’Europa, come usa dirsi, “esistenziale”.

Il teatro della menzogna

Ebbene, è l’abisso fra una simile posta in gioco e i balletti imperterriti della politica politicante che ha fatto di queste settimane una sorta di grande teatro della menzogna. O l’ultima versione del Titanic. Hanno mentito i due partiti maggiori, aggrappati a un occidentalismo dichiarato a denti stretti, quel tanto per non avere le rampogne del Financial Times, per non tagliarsi i ponti con Sleepy Joe o, peggio, per non disgustare le voci contrarie al proprio interno, gli echi della “terza via” neofascista da una parte, l’inflessibile antiatlantismo dei cattolici alla Tarquinio dall’altra. Ha bluffato Meloni e ha bluffato Schlein, quando giuravano fedeltà a Zelensky e liquidavano il nodo dell’europeismo come fosse un’ovvietà, tutti europeisti, certo, chi non lo è, come se l’Europa non fosse al bivio tra pace e guerra, come se fossero tempi normali, come se il Cigno Nero restasse una brutta favola.

I presunti pacifisti e l’arma della paura

Ma hanno mentito anche i pacifisti, i finti pacifisti, i neutralisti, i teorici della bandiera bianca, da Salvini a Conte e da Vannacci a Fratoianni, hanno evitato di riempire il totem della pace di contenuti adeguati e di un minimo di analisi, hanno evitato cioè ogni ragionamento sulle strade aspre della realpolitik e della diplomazia, si sono ben guardati dallo spiegare agli ignari (elettori) in quale scenario continentale e globale immaginavano quella loro pace europea. E invece hanno preferito l’arma corriva della paura, hanno sparso a piene mani la paura della guerra, hanno riesumato toni da anni Cinquanta, l’angoscia della Bomba, esattamente come fa lo zar di tutte le Russie, che ogni giorno ci promette un fungo atomico nel giardino di casa, e naturalmente si sono precipitati come un sol uomo nel gregge di Francesco, all’ombra delle sue profezie di guerra mondiale “a pezzi”, musica per le loro orecchie.

Il voto per i grandi partiti

E, dunque, chi voterà per l’Europa sovranista e chi per l’Europa politica? Chi per l’Europa atlantista e chi per l’Europa putinista? Non lo sapremo mai, perchè gli italiani non voteranno per la vera posta in gioco di queste elezioni, voteranno per il colore dei parati nel soggiorno, mentre la casa rischia di andare a fuoco. E voteranno presumibilmente per i grandi partiti, perché già Newton aveva capito che due corpi dotati di massa si attraggono con una forza direttamente proporzionale alla loro massa. Voteranno cioè per FdI e per il Pd, per Meloni e per Schlein, sebbene le due non siano poi riuscite a specchiarsi in diretta tv. Il voto è anche un piano inclinato, si sa. Va dove la folla sta già occupando le curve. E saranno guai per tutti gli altri, dicono gli osservatori. Nella palude delle menzogne e delle reticenze, delle mezze scelte e della paura sarà difficile che gli italiani possano essere sollecitati a scelte forti. Che votino sapendo che il loro è un voto “esistenziale”. Voteranno gli zoccoli duri, chi ce li ha.

Il campo largo e l’astensionismo

È stata una brutta campagna elettorale. Uno spreco. Non hanno voluto cogliere il momento topico i grandi partiti. Hanno manipolato il nodo complesso della pace le formazioni minori dell’estrema destra e del neutralismo grillino e rosso-verde. E sono rimasti al palo i centristi, i liberali, i riformisti, i radicali, le sigle disperse di Renzi, Calenda e Bonino. Spreco nello spreco. Avevano la possibilità di offrire agli italiani una terza strada. Il campo largo del centro, questo sì un campo largo. E, per la loro storia, per le loro culture politiche, avevano le carte in regola per entrare finalmente nel merito delle cose, spiegando quel che nessuno ha voluto spiegare, indicando le sponde politiche e geopolitiche che oggi servono a qualsivoglia paese o partito europeo per proporsi come protagonista dei nostri tempi difficili. Invitando al ragionamento e anche al coraggio. Perchè indubbiamente questo è il tempo del coraggio. Non l’hanno fatto, come si sa. E perciò anch’essi dovranno battersi il petto se domani e dopodomani emergerà l’indifferenza, l’inconsapevolezza degli elettori. Qual era la domanda? Chi voterà chi? Difficile dire cosa voteranno gli italiani. Meno difficile prevedere che molti resteranno a casa. Salvo un ravvedimento dell’ultima ora.