Il Parlamento europeo uscente lascia in eredità al suo successore 63 proposte di legge presentate dalla Commissione, mai approvate e ancora in attesa di dibattimento. Senza esaminarle tutte, mettiamo in ordine i temi più strategici e urgenti. Nel 2019, la Commissione von der Leyen aveva promesso di cambiare il volto del Vecchio Continente proprio grazie ad alcune di queste proposte. Cosa ne è rimasto? In realtà, bisogna partire da ciò che non era in programma, ma che oggi potrebbe trasformare davvero l’Unione europea. La guerra russo-ucraina ha dato una spolverata al vecchio dossier sull’esercito comune europeo. Ma non è solo Putin a renderlo attuale. La Nato ha compiuto 75 anni e, se a novembre dovesse essere eletto Trump, sarebbe plausibile una sua ristrutturazione. Di conseguenza, emerge il dubbio se valga la pena avere una struttura difensiva transatlantica e una continentale che le faccia da fotocopia. Quanto ha senso allora la proposta di von der Leyen di creare un Commissario Ue per la difesa e la sicurezza?

Capitolo energia

C’è poi l’energia. Nel 2023, erano ancora 37 i miliardi di euro versati alla Russia per petrolio e gas. Per svincolarci dall’abbraccio con il Cremlino, serve accelerare sulle fonti alternative. Per esempio, è realistico puntare sull’idrogeno? Sì, ma costa, in tecnologia e sviluppo. Cina e Giappone sono più avanti di noi. Importarlo da loro vorrebbe dire restarne condizionati e non raggiungere la neutralità energetica tanto utile alla transizione verde. Quindi? Il mix energetico sarebbe fattibile se si trovasse un compromesso. Per esempio tra chi spinge per l’eolico (Germania) e il nucleare (Francia). Passiamo all’industria. Per oltre mezzo secolo, le auto europee – manifatturiero per antonomasia – sono rimaste lo status symbol mondiale per design e velocità. Il passaggio all’elettrico, per com’era stato pensato cinque anni fa, non si sta compiendo. Trasformare una filiera e renderla zero-emission, per processo e prodotto, in appena vent’anni non è plausibile. Tuttavia, anziché promuovere investimenti per essere autonomi in fatto di tecnologia, si cerca di evitare di avere troppe auto elettriche made in China sulle strade d’Europa. Senza capire che a Pechino vige la regola “dazio subito=dazio imposto”. Quindi a ogni loro macchina sequestrata, segue il blocco per un prodotto Ue esportato. Le imprese dei vini e prodotti caseari italiane e francesi già lo sanno.

No farmers no food

E così si arriva all’agrifood. La Farm to Fork, inserita nel Green Deal, avrebbe dovuto rivoluzionare l’identità dell’agricoltura europea. Poi gli agricoltori, al grido di “no farmers no food”, hanno fatto notare che, rinunciando a coltivare, si hanno 450 milioni di consumatori da sfamare e quindi si è obbligati a importare. Alla faccia delle emissioni di CO2 e della qualità. Questo merita dirlo oggi, giornata mondiale della sicurezza alimentare. Le nuove politiche agricole comuni restano da definire quasi da capo. Dai pesticidi – non vi si può rinunciare del tutto – alle nuove tecniche genomiche, per rendere più produttive le colture. Infine, passiamo al rapporto istituzioni Ue – cittadino. Si è spesso detto che le prime eccedono per imposizioni a scapito del secondo.

Le politiche alimentari ne sono un esempio. Questa legislatura verrà ricordata anche per i tentativi di imporre al consumatore ciò che deve mangiare. Il Nutriscore, il sistema di etichettatura a semaforo che classifica i cibi in base a un algoritmo, era nato con il nobile obiettivo di contenere le patologie legate all’alimentazione da eccesso. Mission failed! L’obesità è in aumento e le politiche draconiane di educazione alimentare si sono rivelate inefficaci. Bruxelles si ostinerà con le etichette fronte-pacco, che discriminano senza appello cibo buono e cibo cattivo, oppure avrà il coraggio di curiosare tra le soluzioni più innovative e digitali che coinvolgono anche la nutrizione?

Detto tutto questo, alla legislatura uscente va dato il merito di aver provato a trovare un equilibrio tra economia, società e ambiente. Ma al prossimo parlamento va ricordato di non cadere nella trappola dell’ideologia – green! Whatever it takes – quanto anche nell’evitare di non saper adeguarsi alle variabili indipendenti. Una pandemia e una guerra avrebbero dovuto indurre Bruxelles a riformulare le politiche in corso d’opera. Dalla sua, il nuovo parlamento avrà il tempo sufficiente per entrare in partita a muscoli caldi. La plenaria di apertura a Strasburgo è in agenda a fine giugno. Seguiranno la composizione dei gruppi e delle commissioni parlamentari. Poi ci sarà da scegliere la Commissione. L’appuntamento è per dopo l’estate, o addirittura a inizio 2025. Sei mesi di preparazione utili per creare una vera classe politica europea. Basteranno?

Antonio Picasso

Autore