L’ex vicepresidente del Parlamento Europeo, Eva Kaili, ha rilasciato le prime interviste dopo lo scandalo che l’ha coinvolta soprannominato Qatargate. La Kaili è stata in carcere per 4 mesi e da fine maggio si trova agli arresti domiciliari per presunta corruzione da parte del lobbista Antonio Panzeri per conto di paesi esterni all’Unione Europea, come Qatar e Marocco.
Kaili ha respinto tutte le accuse e ha criticato molto duramente le modalità con cui la procura federale belga sta portando avanti le indagini, guidate dal magistrato Michel Claise. Da mesi ormai commentatori e avvocati dei sospettati lo accusano di avere usato la detenzione come un mezzo per fare pressione sulle persone incriminate, una pratica considerata scorretta e vietata in molti paesi, compresa l’Italia.
Mi hanno detto che “dichiarandomi colpevole o facendo nomi importanti sarei tornata subito da mia figlia, ma dato che avrei dovuto mentire, non ho mai nemmeno pensato che potesse essere un’opzione” ha detto Kaili al Corsera. Sono accuse piuttosto pesanti, che finora non sono state commentate né dalla procura belga né da Claise.
Secondo i legali della Kaili, i metodi utilizzati dalla procura belga sono stati semplicemente disumani. Per ragioni non ancora chiarissime fra l’11 e il 13 gennaio Kaili fu tenuta in isolamento senza la possibilità di comunicare con nessuno. In quei giorni Kaili aveva le mestruazioni, e sempre secondo i suoi avvocati le fu negato di farsi una doccia.
Nelle prime settimane di detenzione in molti si sono schierati contro le modalità al limite della tortura utilizzate contro la Kaili. “Lei non ha accettato di confessare” – scriveva Piero Sansonetti – “si è dichiarata innocente e ha fatto infuriare gli inquirenti. Che l’hanno arrestata illegalmente, perché lei era protetta dall’immunità parlamentare, inventandosi una inesistente flagranza di reato, l’hanno anche torturata, tenendola 48 ore al gelo e senz’acqua (dopo avergli sequestrato anche il cappotto) in una cella di isolamento con le luci sparate per non farla dormire, e le hanno fatto capire che sarebbe stato meglio parlare altrimenti sarebbe rimasta in carcere”.
“Libera poiché la tortura non ha funzionato” – scriveva l’europarlamentare Massimiliano Smeriglio – “Il 9 Febbraio ho scritto alla presidente Metsola chiedendo di verificare le pessime condizioni di carcerazione della Kaili. Isolamento, freddo, violenza verbale, difficoltà e umiliazione nella gestione del ciclo mestruale, senza neanche la possibilità di lavarsi. Per non parlare del divieto di vedere la figlia di due anni. La presidente Metsola non ha mai risposto, ora la Kaili è agli arresti domiciliari, luogo naturale in cui attendere il processo visto che non c’è pericolo di fuga, né possibilità di reiterare il reato, né di inquinare le prove.”