“Le forze dell’ordine belghe hanno agito in spregio alle facoltà riconosciute ai parlamentari europei. L’immunità dell’europarlamentare non è un privilegio personale ma garantisce – ed è sempre l’Europarlamento a ricordarlo sul suo sito – a ciascun deputato di esercitare liberamente il proprio mandato senza essere esposto a una persecuzione politica arbitraria”. A scriverlo è stato ieri Giuliano Pisapia, vicepresidente della Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo, in un articolo sul quotidiano Il Dubbio che nei giorni scorsi aveva svelato questa incredibile attività di dossieraggio nei confronti degli eurodeputati.

Una attività che “viola lo Stato di diritto e crea un pericoloso precedente contro un’istituzione sovranazionale”, sottolinea Pisapia.
Da quanto emerso dalla lettura degli atti relativi al procedimento per corruzione nei confronti di Eva Kaili, ex vicepresidente del Parlamento europeo, trattenuta in carcere per oltre quattro mesi, alcuni pubblici ufficiali, che non si sono identificati, erano entrati in un’aula parlamentare ad ascoltare quello che avveniva nell’ambito di una discussione politica. In un verbale datato 14 novembre 2022 e inviato all’allora giudice istruttore Michel Claise, era stata descritta in particolare la riunione nella sala Altiero Spinelli della sottocommissione per i diritti umani con all’ordine del giorno una discussione sulla Coppa del mondo, svoltasi alla presenza di Ali Bin Samikh Al Marri, ministro del Lavoro del Qatar.

Nel verbale erano indicati i nomi di Antonio Panzeri, europarlamentare del Pd, anch’egli coinvolto nel procedimento e che poi ha ‘collaborato’ con i magistrati belgi in cambio della libertà, e Francesco Giorgi, suo ex assistente parlamentare e compagno di Eva Kaili. “Lo hanno fatto come spie, ma al servizio delle autorità belghe”, prosegue Pisapia, ricordando che “l’immunità parlamentare assicura l’indipendenza e l’integrità del Parlamento nel suo complesso”. È una delle comuni definizioni facilmente reperibili sul sito del Parlamento europeo. E questo principio è stato calpestato in maniera vergognosa e in violazione dello Stato di diritto”.

L’episodio è una ulteriore conferma che il ‘Qatargate’, e l’attività condotta dalla polizia e dai servizi belgi in occasione delle indagini, prosegue Pisapia, “altro non sono stati che un insieme di violazioni dei principi fondanti del diritto e dei diritti individuali e collettivi”. In altri termini, sarebbe stato posto in essere un indebito e grave comportamento delle forze dell’ordine belghe che hanno agito in spregio alle facoltà riconosciute ai parlamentari europei.

“Si è generato un pericoloso precedente contro un’Istituzione sovranazionale da parte di ‘forze dell’ordine’ di un Paese democratico membro di quella stessa Istituzione. È necessario che giungano pronte risposte da parte delle autorità belghe e da parte di tutto l’Europarlamento. Elementi del dossier della polizia belga sono i voti e le opinioni espresse dai componenti dell’aula”, puntualizza l’ex sindaco di Milano. Un fatto particolarmente grave considerando come agli europarlamentari si estendano anche le norme dello stato di appartenenza in tema di immunità. “La nostra Costituzione – aggiunge – al primo comma dell’articolo 68 così recita: “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”. È bene tenere a mente questo aspetto perché vittime dell’attività di dossieraggio sono anche membri italiani dell’Europarlamento”.

Kaili ha fatto causa al Parlamento “per violazione della sua immunità parlamentare, essendo stata monitorata dai servizi segreti durante il periodo in cui ha partecipato alla commissione Pega, che stava indagando istituzionalmente sull’esistenza di software illegali che monitoravano le attività degli eurodeputati e dei cittadini Ue”. Ma a denunciare possibili violazioni erano stati anche i legali di Andrea Cozzolino, anch’egli europarlamentare del Pd, che avevano posto la questione alla Corte d’Appello di Napoli, chiamata a decidere sulla sua estradizione. Per i magistrati campani, però, non era possibile ritenere che le indagini fossero state svolte dai servizi segreti invece che dall’autorità giudiziaria attraverso la polizia giudiziaria.