Lo scorso marzo eravamo rimasti all’accordo tra governo, commissari Ilva in As e ArcelorMittal, utile a superare l’impasse giudiziario presso il Tribunale di Milano. E invece il governo non ci aveva consegnato il testo che abbiamo ricevuto qualche giorno dopo, dalla divulgazione ad opera del sindaco di Taranto Riccardo Melucci (evidentemente ricevuto a sua volta da qualche esponente del governo).
Venerdì sera l’ad Lucia Morselli ha spedito il nuovo piano industriale. Finalmente oggi avremo la possibilità di conoscerne i contenuti, nell’incontro convocato dal ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli. È singolare un Paese in cui alcuni giornali hanno il piano prima delle organizzazioni sindacali. Dalle indiscrezioni, quello che emerge è che anche i presupposti dell’accordo di marzo per la congiuntura negativa della domanda di acciaio globale siano stati rivisti.

Già nel corso del 2020 ci attendono altri 3200 lavoratori in cassa integrazione, a cui aggiungere i 1700 in amministrazione straordinaria. Il rientro dei 10.700 lavoratori (non si dice nulla sull’indotto) slitta dal 2023 al 2025. Viene rinviato il rifacimento dell’altoforno n.5 (AFO5) il più grande, di altri due anni. Si conferma un impianto a ciclo misto, di cui una parte proseguirà a ciclo integrale (con altoforni) e un’altra con forno elettrico. Già con questo assetto produttivo, quello occupazionale è sovrastimato. Il forno elettrico assorbe, infatti, un numero molto più esiguo di personale. Oltre 5.000 persone in Cassa integrazione per tutti questi anni, non solo sono inaccettabili ma non vi sono garanzie di rientro al lavoro e di esclusione della strutturalità degli esuberi. Questo piano serve a prendere e a perdere altro tempo. Nel frattempo chissà, mentre si riflette di intervento pubblico. L’investitore, la terribile multinazionale che pagava 1,8 miliardi solo di prezzo di acquisto (e altrettanti in investimenti), pagherà al massimo 500 milioni, più o meno quanto ha chiesto di prestito dal decreto liquidità e se si finirà nuovamente in amministrazione straordinaria, neanche quelli. In Italia far pagare meno ai Mittal e più alle tasche di chi paga le tasse (lavoratori e pensionati) è considerata una cosa di sinistra.

Nel frattempo il famoso “scudo penale” è sempre più diffuso nel nostro Paese, a partire dai commissari Ilva, ma viene rimosso ai manager e quadri ArcelorMittal anche per reati commessi da chi ha operato a Taranto nei 55 anni precedenti.  Nel frattempo a tutti coloro che non vogliono affrontare i nodi al pettine, ha dato manforte l’uscita del vice di Ursula von der Leyen, Frans Timmermans, ovvero la disponibilità a far passare il Jtf (Just Transition Fund) da 7,5 a 40 miliardi. Attualmente dalla Commissione Sviluppo Regionale (Regi) a Bruxelles dalla bozza dei vecchi 7,5 miliardi si prevedono per tutta l’Italia 364 milioni. Ciò non scioglie i problemi attuali:
1) La trasformazione di una produzione da carbone a idrogeno di un impianto come quello dell’ex Ilva richiederebbe una quota importante di tutto il Jtf.
2) il Progetto scandinavo “Hybrit” per l’utilizzo in siderurgia dell’idrogeno, dalle ultime notizie, ci dice che i primi impieghi “industriali” saranno successivi al 2026.

Ci sembra che il piano invece di risolvere i problemi dell’ex gruppo Ilva sia perfetto per far ripartire lo scontro. Ma cosa accade in questi 5-6 anni? Tanta Cassa integrazione, impianti sempre più pericolosi, flipper giudiziario tra procure. Progetto Meros di ambientalizzazione ancora a rilento, automazione Afo2 e rifacimento Afo5 sempre rinviati. Bonifiche in capo ai Commissari, e su cui ci sono i fondi sequestrati, ferme. Nel frattempo la domanda di acciaio ripartirà e continueremo a importarlo dalla Germania o dalla Turchia.  Nella rivisitazione della lunghezza delle filiere post-Covid, i paesi con industria manifatturiera stanno rivalutando la necessità di avere in prossimità la siderurgia. In Italia qualcuno sta facendo qualche riflessione a riguardo? Speriamo che anche lo sciopero di 24 ore, che parte da oggi in tutto il Gruppo, faccia riflettere sia la politica che ArcelorMittal.