Molte testate hanno parlato dei risultati sorprendenti della terapia genica somministrata a una bambina di Bari affetta da atrofia muscolare spinale (Sma), una patologia genetica rara. La Sma può essere più o meno grave, ma fin qui averla significava nella maggior parte dei casi non poter correre, ballare, camminare e, piano piano, perdere la capacità di compiere gesti quotidiani scontati per la gran parte delle persone: vestirsi, lavarsi, portarsi il cibo alla bocca. Insomma, significava vivere con la necessità di dipendere da qualcun altro.

I dati che stanno emergendo dall’impiego della terapia genica e di altri trattamenti sviluppati negli ultimi anni dicono che quello potrebbe non essere più il futuro di tanti bambini affetti da Sma. Per me, che convivo dalla nascita con questa malattia che mi ha costretta mille volte a riadattarmi alla perdita di capacità motorie e a misurarmi con un futuro dettato da un’intrusa maledetta che decide se e come condizionare la mia vita, è difficile spiegare l’impatto emotivo della notizia di un tale miracolo, tutto umano.

Me ne parlò all’inizio del mio mandato parlamentare l’allora Presidente dell’Associazione Famiglie Sma. Mi disse che si stava spalancando una porta che noi malati avevamo da sempre considerato blindata, che quella apertura non avrebbe riguardato me, perché la terapia era somministrabile solo in età precocissima, ma che avrebbe forse potuto cambiare il futuro di tanti bambini. Ho sempre pensato che, per esercitarsi a essere felici, bisogna anzitutto non chiedersi mai “perché proprio a me”, una domanda che rischia di trasformarci in un coacervo di rabbia e frustrazione verso il mondo.

Durante quell’incontro c’era la domanda opposta che mi investiva con la forza di un uragano: perché non a me? Dopo una prima angoscia così profonda da togliere il fiato, la mia risposta è stata la stessa: non ha nessun senso domandarselo. La scienza ha un suo tempo che a volte coincide con quello delle nostre vite, a volte no. Soffermarsi su questo avrebbe significato privarsi della gioia di farsi travolgere dalla meraviglia dei miracoli compiuti dall’ingegno umano e dal senso di struggente tenerezza verso le tante Lisa non ancora nate che non dovranno portare sulle loro spalle, ancora piccole e fragili, pesi a volte immensi.

I miracoli della scienza, però, non sempre bastano. Oggi, l’opportunità avuta dalla piccola di Bari non è garantita a tutti i bimbi perché l’accesso alla terapia genica presuppone una diagnosi tempestiva della Sma attualmente assicurata solo in alcune Regioni. Da anni, insieme a tante associazioni di malati rari, portiamo avanti la battaglia per includere negli screening neonatali nazionali offerti a tutti i nuovi nati la Sma e altre patologie per cui cominciano a esserci delle terapie avanzate. Durante la scorsa legislatura abbiamo approvato miei emendamenti per semplificare le procedure e stanziare fondi aggiuntivi. Ora non c’è nessuna ragione che impedisca di procedere. C’è solo una sciatteria inumana che rischia di rubare a piccoli pazienti opportunità di cura rivoluzionarie offerte dalla scienza.

Sin da bambina ho accettato che alcuni fatti della vita di ciascuno di noi siano fuori dal nostro controllo e ad essi non siano applicabili le categorie umane del giusto o dell’ingiusto. Non mi rassegnerò mai, invece, a non vedere accadere tutto ciò che di buono dipende dal nostro agire. È il motivo per cui ho scelto di impegnarmi nelle istituzioni ed è per questo che, per me, la politica può avere solo un tempo, quello dettato dall’imperativo di incidere concretamente sull’esistenza delle persone. Diversamente è inutile testimonianza o intollerabile chiacchiericcio.

Per tale ragione l’estensione degli screening neonatali deve avvenire ora. Perché ogni giorno di ritardo comporta il rischio di un danno irreparabile, a volte mortale, per questi bambini ed è una colpa imperdonabile.

Lisa Noja

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