Il nervo scoperto della giustizia
Far West intercettazioni, si sveglia anche il Csm contro gli ascolti selvaggi in mano ai privati
Le intercettazioni telefoniche continuano ad essere sempre un nervo scoperto. A un anno circa dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni di legge, il Csm ha proceduto a una ricognizione delle linee guida e delle buone prassi in materia di ascolti realizzate presso i vari uffici giudiziari del Paese. La riforma degli ascolti era stata voluta nel 2017 dall’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando. Numerose erano state le modifiche alle norme del codice di procedura penale riguardanti le modalità di esecuzione delle intercettazioni e di conservazione degli ascolti. Fra gli aspetti più importanti vi era l’introduzione dell’archivio “riservato” delle intercettazioni, gestito e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del procuratore e relativo a tutte le intercettazioni disposte dall’ufficio.
Il pm, concluse le operazioni di ascolto, con le nuove norme deve provvedere al deposito di tutti gli atti – salvo un differimento disposto per indagini particolarmente complesse – formando un elenco del flusso di comunicazioni, verbali, informatiche o telematiche rilevanti ai fini della prova. Terminato il deposito il pm avvisa quindi i difensori delle parti, che, così come il giudice delle indagini preliminari e la polizia giudiziaria, potranno esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni con apposito strumento fornito dall’archivio. Nel caso che dal deposito possa “derivare un grave pregiudizio per le indagini, il giudice autorizza il pubblico ministero a ritardarlo, non oltre la chiusura delle indagini”. Una volta ricevuto l’avviso di deposito, i difensori potranno chiedere l’acquisizione degli atti rilevanti ai fini della prova, e la distruzione di quelli catalogati come irrilevanti e inutilizzabili “a tutela della riservatezza”. Le conversazioni tra legale e cliente, nel caso fossero intercettate, non dovranno neppure essere inserite nei brogliacci di ascolto. Con l’ordinanza emessa dal giudice, che comprende gli atti di prova ed esclude quelli inutilizzabili, cade poi il segreto.
Il problema principale evidenziato dal Csm riguarda la «moltitudine di società private, ciascuna con le proprie regole nella gestione del servizio» che opera sul mercato. Non sempre – prosegue il Csm – eventuali anomalie tecniche sono oggetto di tempestiva acquisizione da parte del procuratore e di successiva tempestiva contestazione al fornitore del servizio, anche ai fini, ad esempio, della risoluzione del rapporto o di successivi affidamenti». Per cercare di arginare il Far West degli ascolti il Csm ritiene opportuno valutare l’ipotesi di ricorrere ai «modelli internazionali di valutazione della sicurezza informatica, in cui le esigenze della sicurezza dominano la scelta delle migliori prassi o soluzioni da applicare». L’applicazione di standard di qualità internazionali ed il ricorso a soggetti certificatori esterni potrebbe concorrere al raggiungimento di tre importanti obiettivi.
Il primo è la garanzia per il cittadino che «l’intero processo delle attività di intercettazione sia presidiato da strutture tecniche – validate e costantemente monitorate – adeguate ad assicurare l’integrità, la continuità, la non manipolabilità, la non replicabilità, la confidenzialità delle comunicazioni». Il secondo è la garanzia per il procuratore di «disporre di elementi valutativi certi nella scelta della società cui affidare le attività tecniche», Ed il terzo, infine, è la garanzia per la polizia giudiziaria di avere un «qualificato e competente interlocutore, con il quale confrontarsi in maniera permanente, ogni volta che si debbano risolvere criticità tecnologiche od assumere decisioni in tale ambito».
L’individuazione dei soggetti certificatori, da abilitare a tale funzione in materia di intercettazioni, dovrebbe essere rimessa alla discrezionalità dei singoli procuratori, attingendo da elenchi validati dal Ministero. Elenchi che ora non esistono e lasciano spazio, ad esempio, alle “anomalie” del Palamaragate con i server nascosti nella Procura di Napoli e con il funzionamento a singhiozzo del software spia trojan. Vedasi la cena di Luca Palamara la sera del 9 maggio del 2019 con l’allora procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e mai registrata.
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