Questa volta neanche i più accaniti avversari di Giorgia Meloni potranno fomentare un dibattito sterile – dal titolo ambiguo – su ciò che doveva o non doveva dire in occasione di un anniversario importante come il Giorno della Memoria, che cade nell’anniversario della liberazione di Auschwitz. Quel giorno, per usare le parole della premier, “in cui l’orrore della Shoah si è mostrato al mondo in tutta la sua terrificante forza”. Dichiarazioni che non possono che raccogliere l’unanime consenso di tutti, e che ancora oggi devono mantenere forte il ricordo di quanto avvenuto. Ma la memoria deve essere viva e attiva, altrimenti il rischio è che il sapore amaro dell’orrore si perda con il tempo, tema purtroppo ogni giorno più concreto. Se fossimo un paese normale, racconteremmo questo giorno senza deragliare in un dibattito sul “senso delle parole” che accompagna ogni data simbolica nel nostro calendario nazionale.

Meloni e la complicità fascista nella Shoah

“Un piano – afferma Meloni – quello condotto dal regime hitleriano, che in Italia trovò anche la complicità di quello fascista, attraverso l’infamia delle leggi razziali e il coinvolgimento nei rastrellamenti e nelle deportazioni”. Parole più nette di queste difficilmente potrebbero e potranno essere pronunciate, e nessuno potrà sollevare sopracciglia o assumere le vesti del “censore” per giudicare il commento della presidente del Consiglio. Spesso negli ultimi anni abbiamo assistito a un gioco di banalizzazione della storia e di “politicizzazione” della nostra memoria nazionale, soprattutto da quando la destra è salita al governo. In ogni occasione viene chiesto agli esponenti del centrodestra di pronunciare prese di distanza da una realtà che, per ragioni anagrafiche, non hanno avuto alcuna possibilità di conoscere. Eppure viene applicata ancora oggi, in continuità non con gli anni ‘40 ma ’70. Una caccia alle streghe senza precedenti, e ogni evento diviene uno strumento di divisione piuttosto che di memoria e dunque di unità.

Così, in ricorrenze come questa, viene tristemente alla luce una certa ipocrisia di chi si inumidisce gli occhi dinanzi alla più grande tragedia del ‘900 e che l’umanità abbia conosciuto. Allo stesso tempo però si rimane indifferenti dinanzi all’emergere di azioni di antisemitismo puro e dichiarato, seppur spesso celato dietro l’altrettanta ipocrita scusante dell’antisionismo, con cui una parte della sinistra radicale prova a giustificare le proprie azioni antisemite.

Il passaggio fondamentale

A Meloni come premier – e come leader di un partito erede di quel Movimento sociale italiano, nato dalle ceneri dei reduci della Rsi – è chiesto sempre di più. E anche questa volta Giorgia lo ha fatto, inserendo nel suo discorso un passaggio fondamentale che riconosce la complicità del “fascismo”, da estendere (aggiungiamo noi) a tutti gli organi statutari del Regno d’Italia. Quella scelta significò la morte morale del fascismo e la fine del suo innegabile periodo di consenso (De Felice docet), su cui tanti dovrebbero interrogarsi ancora oggi e di cui molti fascisti furono vittime per primi.

Meloni ha fatto un passo ulteriore: se è vero che a lei è richiesto – con sequela di dibattiti – quel cenno e quella parola in più, è vero altresì che ha voluto ribadire una verità innegabile. Ovvero che “l’antisemitismo non è stato sconfitto con l’abbattimento dei cancelli di Auschwitz” perché “è una piaga che è sopravvissuta alla Shoah, ha assunto declinazioni diverse e si propaga attraverso strumenti e canali nuovi”. Come tutti noi tristemente ogni giorno osserviamo. Ma per il presidente del Consiglio, “combattere l’antisemitismo, in tutte le forme in cui si manifesta, antiche e moderne, è una priorità di questo governo”. Perché la storia è materia viva, e spesso il rischio del nostro tempo – per parafrasare Nietzsche – è quello di renderla “antiquaria”, finendo per perderne l’autentico spirito.

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Nato nel 1994, esattamente il 7 ottobre giorno della Battaglia di Lepanto, Calabrese. Allievo non frequentante - per ragioni anagrafiche - di Ansaldo e Longanesi, amo la politica e mi piace raccontarla. Conservatore per vocazione. Direttore di Nazione Futura dal settembre 2022. Fumatore per virtù - non per vizio - di sigari, ho solo un mito John Wayne.