Il Cuore dell’Iran presenta una ferita profonda e sanguina di sangue innocente, sangue dei suoi figli che vengono mandati a morire innocenti come “nemici di Dio” perché protestano contro la Repubblica Islamica. Nel settembre 2022 dopo la morte violenta di Mahsa Amini, detenuta e violentata in un carcere di Teheran perché non indossava correttamente il velo, sono state migliaia le persone a scendere in piazza contro il regime islamico. Queste proteste sono costate al popolo iraniano, finora, oltre 500 morti e migliaia di arresti, di sparizioni in carceri dove studenti liceali e universitari subiscono violenze, torture, sevizie. Quattro uomini, di cui due poco più che ventenni, sono stati impiccati per aver “mosso guerra a Dio”.
In questo contesto si iscrivono le storie di Hassan Firouzi e Mohammad Ekhtiarian. Hassan, 34 anni, è stato arrestato nel novembre 2022 ed è stato condannato alla pena di morte da eseguire appena si sarà rimesso dalle ferite subite in carcere, perché per una perversa e tragica ironia si deve essere “sani”, almeno in apparenza, per morire nella “guerra contro Dio”. Detenuto nella prigione di Evin, tristemente nota per le frequenti denunce di violazione dei diritti umani, è stato sottoposto a tortura al fine di estorcergli una falsa confessione di colpevolezza. Non gli è stata concessa alcuna assistenza legale ed è stato condannato dopo un processo sommario alla pena capitale. Il 16 gennaio 2023, prima di essere riportato dall’ospedale in prigione senza le necessarie cure, Hassan ha lanciato un appello al popolo iraniano.
Le sue parole sono dettate dalla disperazione di chi è ben conscio di stare per morire e che dovrà lasciare il mondo senza più vedere la “cosa” che egli ama di più, sua figlia: “Chiedo una sola cosa al popolo iraniano: fate qualcosa perché io possa vedere mia figlia per l’ultima volta. Che io firmi o meno la confessione mi uccideranno. Il mio unico desiderio è di vedere per l’ultima volta mia figlia prima che uccidano me. Dopo 10 anni, Dio finalmente ci ha dato una bambina e io ho potuto vederla solo per 18 giorni prima di essere arrestato”. Noi tutti proviamo un profondo senso di impotenza di fronte al suo appello e al suo dramma e per quello di centinaia di persone detenute e seviziate nelle carceri iraniane. Morire in nome di Dio, ma in verità per mano di un regime che non rispetta né Dio né l’uomo, è un prezzo troppo alto da pagare e un insostenibile paradosso. Paradosso non meno tragico è associare il nome di Dio, “il clemente, il misericordioso”, il Dio “con i nomi più belli”, come si legge nel Corano, alla morte: alla morte degli altri, di quelli che pensano diversamente.
Rapporti del 23 gennaio scorso di attivisti iraniani per i diritti umani indicano che Hassan, a causa delle gravi lesioni riportate durante l’interrogatorio e l’assenza di cure mediche, sia entrato in coma. Durante gli interrogatori sarebbe stato duramente picchiato con una sedia e l’assenza di cure mediche avrebbe determinato una grave emorragia con perdita della funzionalità di un rene.
Analoga tragica sorte è quella di Mohammad Ekhtiarian, altro giovane manifestante iraniano arrestato nel corso delle proteste. Di lui non abbiamo dichiarazioni dirette, e anche le notizie sulla sua situazione sono frammentarie, ma non per questa ragione la sua storia è in secondo piano. Durante l’arresto, gli sono state provocate gravi ferite forse d’arma da fuoco a una gamba e ora, a cause di infezioni gravi, anche lui sarebbe entrato in coma.
Al momento attuale, la storia dell’Iran è fatta da centinaia di casi come questi. I ragazzi dopo l’arresto spariscono, subiscono torture e pestaggi, muoiono senza che di loro si sappia più nulla. Ora Hassan e Mohammad stanno morendo a cause di brutali sevizie e torture o sono in condizioni di pericolo di vita, privati delle cure necessarie. Diamo voce alla voce di Hassan e di Mohammad e a quella di centinaia di ragazzi incarcerati, torturati e messi a morte solo perché hanno il coraggio di alzare la testa contro un regime che li schiaccia, li opprime, offende i loro diritti di essere umani. La loro voce è soffocata dalla sofferenza, dalla paura, dal dolore o ridotta a un lieve labile tremante sospiro. Abbiamo il coraggio di urlare al loro posto che la vita umana e i suoi diritti, sono un valore irrinunciabile, non possono essere calpestati e vilipesi e, chissà, riusciremo a fermare la mano del boia. Se non arriveremo a tanto, almeno avremo provato a non allinearci all’indifferenza e all’individualismo. Chiediamo a tutti i governi del mondo libero, alle organizzazioni umanitarie, e al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite di intraprendere azioni urgenti per fermare l’esecuzione di Hassan e Mohammad e tutti i crimini in corso in Iran.