“Fazio non doveva ospitare Sansonetti e Liguori per lo scoop sul metodo Ranucci”, editto del consigliere Rai contro il Riformista

Il Riformista Tv è appena nato e già sembra dare fastidio. Nel regno dei paradossi, appena la voce libera che promette di fare informazione, approfondimento e inchiesta viene presentata da Fabio Fazio nella sua Che Tempo Che Fa, Rai Tre, ecco che Riccardo Laganà, del Cda di viale Mazzini trova da ridire: «Trovo inopportune, nei tempi e nei modi, certe iniziative editoriali. Singolare che su Rai Tre si promuova la tv web garantista del Riformista quando da settimane tenta di condannare Report, Ranucci e il servizio pubblico con tesi già discusse in tribunale».

Alla faccia del pluralismo, del diritto alla critica, della libertà di parola: qui c’è un membro del Consiglio di Amministrazione Rai che contesta – con una nota scritta, non una battuta sfuggitagli al bar – il diritto/dovere del Riformista Tv di fare il proprio mestiere. Vietato contestare Ranucci, in sintesi. Ci sarebbe da chiedersi se va preso sul serio o no. Fuga ogni dubbio Sigfrido, che retwitta il consigliere amico. E fa capire così di essere d’accordo con l’editto (l’edittino) del silenzio: chi contesta la condotta di Ranucci – con la forza del video che Il Riformista ha pubblicato – non deve andare in onda. Censura. Il servizio pubblico, per come sembra essere inteso dal consigliere Laganà e dal conduttore di Report, non dovrebbe occuparsi di chi ha richiamato Report alle regole. E poi forse c’è un altro problema. L’intervento del Riformista alla Rai ha portato in primo piano il problema delle carceri e l’abuso, anche da parte della magistratura, nell’uso della carcerazione. E forse al fronte grillin-manettaro queste idee non vanno a genio. Meglio farle sparire dalla Rai.

La Rai è alle prese con una tensione fortissima tra vertici e Consiglio di Amministrazione. Con una crisi di ascolti che riguarda fasce importanti. E con il caso Ranucci, di cui si stanno occupando simultaneamente l’audit interno, la commissione di Vigilanza, il Copasir, la Corte dei Conti e addirittura il Dis. Ma ecco Ranucci e Laganà impegnati – richiamando anche la grancassa dei social network – nel provare a silenziare l’iniziativa editoriale del Riformista TV. Riccardo Laganà, il membro del Cda eletto in quota “maestranze” non è nuovo rispetto ai servizi di tutela che offre generosamente a Sigfrido Ranucci. Già mercoledì scorso, rimasto perlopiù inascoltato, aveva tentato una maldestra presa di posizione, condita da inesattezze ricalcate proprio sulle giustificazioni del conduttore di Report: «Partiamo dai fatti: Ranucci è uscito pulito dall’audit interno sul dossier falso e infamante nei suoi confronti, come anche dichiarato dall’Ad durante la recente audizione in Vigilanza», aveva detto confondendo il calendario tra i diversi audit richiesti per il conduttore di Report.

Sulla vicenda del girato clandestino di Borsato, in cui Ranucci tenta di acquistare un video hard pagando con un giro di false fatture, garantendo -o millantando – la protezione di amici potentissimi nei servizi segreti, non si è ancora tenuto alcun audit. Ecco Laganà che ripete, un po’ a pappagallo, il refrain di Ranucci: «Filmati e personaggi già vagliati dalla magistratura competente e da due tribunali che hanno già appurato che Ranucci non ha mai acquistato video e che non è stato commesso alcun reato; basterebbe dare una lettura dei decreti di archiviazione per trovare pace ed evitare la campagna mediatica di delegittimazione in corso da svariato tempo. I giudici hanno definito legittimo il lavoro di Ranucci sia in fase di confezionamento delle inchieste che in quello poi di realizzazione, inchieste giornalistiche che peraltro avevano evidentemente già superato il vaglio delle strutture interne».

Così stanno le cose? Certo, che Ranucci non abbia poi acquistato il famigerato filmino hard lo sapevamo. Anche perché quel filmino non esiste. Ma sappiamo – al netto delle sue variegate giustificazioni – con quale metodo ha provato ad acquistarlo, con quale veemenza ha proposto di aggirare le procedure e le regole Rai. Soprattutto ci continuiamo a chiedere perché stesse insistendo tanto per avere del materiale che sapeva benissimo di non poter mandare in onda. Paletti, regole, condotte che evidentemente per il consigliere delle maestranze Laganà non devono contare poi molto. Quanto all’altro ritornello, “i giudici hanno definito legittimo il lavoro di Ranucci”, non si capisce a quale sentenza si faccia riferimento. Prova a venirgli in soccorso l’avvocato Alessio La Pegna, difensore di Sigfrido Ranucci con una nota che pubblichiamo interamente (senza manipolazioni….) qui sotto. La nota probabilmente è inedita…ma non è troppo felice. Nella richiesta di rettifica che manda al Riformista il legale dice infatti che «sui fatti del 2014, già sottoposti al vaglio dell’Autorità Giudiziaria, la condotta del dottor Sigfrido Ranucci è stata ritenuta del tutto legittima». Di quale condotta si parla? Il Tribunale di Verona in realtà ha preso in esame la denuncia depositata dall’allora sindaco Flavio Tosi che accusava Ranucci di costruirgli contro un falso dossier. Risultato inesistente – come il famigerato video hard. Punto.

La sentenza 2086/2019 non ha affatto approvato «il lavoro di Ranucci in fase di confezionamento delle inchieste e poi nel lavoro di realizzazione» (in ordine cronologico, semmai, prima si realizzano e poi si allestiscono i servizi, ndr) ma si è limitata, come è giusto, a esaminare la fattispecie di un dossier segnalato da Tosi in quel puntuale momento. Né alcun tribunale ordinario ha mai pronunciato, a memoria d’uomo, una sentenza che approva questa o quella modalità di conduzione tv. Da Verona il giudice si era limitato a puntualizzare – se proprio vogliamo tirare fuori la sentenza – che l’ordito di Ranucci poggiava su “millanterie” e certifica, contrariamente a quanto Ranucci ha scritto, che tutta la traccia audio-video da noi resa pubblica è integra e priva di manipolazioni. Chi difende Ranucci contesta il Riformista su un punto singolare: «Il video diffuso dal sito web del Riformista costituisce un estratto di un più ampio colloquio», ci viene fatto presente. La registrazione integrale consta di oltre un’ora: Ranucci – che sostiene che è già nota e diffusa – non avrà difficoltà a trasmetterla per intero lui stesso. Se pubblicare una parte di un documento lungo è facoltà delle testate, è curioso che sia proprio dalle parti di Report, il più feroce esecutore del taglia-e-cuci, che provenga questa risentita osservazione.

Scrive ancora l’avvocato La Pegna: «Dalle registrazioni diffuse non emerge alcuna condotta illecita da parte del Dott. Ranucci, il quale stava regolarmente svolgendo la propria attività giornalistica di inchiesta». Stando al testo dell’avvocato, risulterebbe dunque normale, per Report, trattare l’acquisto di materiale pornografico pagandolo con fatture recanti un oggetto diverso, con il contenuto mascherato per alterarne la natura e riuscire a retribuire gli autori con fatture intestate ad altri. Molto interessante come puntualizzazione. La mettiamo agli atti, a disposizione di chi ha aperto il fascicolo: le verifiche della Corte dei Conti vertono proprio su questo punto.

Inevaso resta invece il focus centrale della nostra inchiesta: per quale ragione Ranucci stava negoziando per avere del materiale che, violando la privacy dell’interessato, la Rai non poteva né possedere né tantomeno mettere in onda? Lo chiediamo da dieci giorni, Ranucci continua a parlare d’altro e a non rispondere. Ed è un peccato, perché con i documenti che il Riformista pubblicherà questa settimana, gli interrogativi ai quali dovrà rispondere il vicedirettore di Rai Tre si moltiplicano.