Nel “Si&No” del Riformista spazio alla decisione della Rai di bloccare la partecipazione di Fedez al programma Belve di Francesca Fagnani. Giusta, secondo il direttore del Riformista Andrea Ruggieri, la decisione di viale Mazzini che, di fatto, “fa valere il limite a insulti e invenzioni”. Contraria invece la deputata dem Irene Manzi secondo cui “l’azienda di viale Mazzini si è impoverita di pluralismo”.

Il commento di Irene Manzi:

Dire che il blocco alla partecipazione di Fedez per Belve è un errore dovrebbe essere una ovvietà. Suona così tanto “editto bulgaro” che nemmeno Fedez stesso poteva sperare in un assist migliore alla propria immagine. Se questo è il modo in cui qualcuno a destra pensa di fare egemonia, o meglio di impedire e di fatto censurare i pensieri che non apprezza, anche sul piano del risultato la strada pare del tutto sbagliata oltre che in salita. Fedez, così come Fazio o Saviano, non hanno bisogno della Rai e men che meno di questa Rai così indebolita per far sentire la loro voce e anzi beneficeranno dell’attenzione che si è accesa sui loro nomi rendendoli ulteriormente dei punti di riferimento. Ma quello che dovrebbe preoccupare ogni persona a cui stia a cuore la cultura, l’informazione e anche la democrazia come equilibro dei poteri, è il pericoloso atteggiamento proprietario che emerge da queste azioni. Indirizzato peraltro non tanto a far emergere una propria cultura di riferimento – che già non dovrebbe essere sviluppata così – ma piuttosto rivolto al tentativo di distruggere, con metodo rozzo ed illusorio, quelle che si percepiscono come culture altre.
Da qui la vera riflessione, che peraltro da diversi anni si affaccia, quella sulla funzione della più grande azienda culturale pubblica del Paese.

Come dovrebbe essere la Rai, e che ruolo dovrebbe svolgere, quale dovrebbe essere il suo rapporto con il Potere?
Qualche giorno fa ho ricordato il filosofo Gianni Vattimo, recentemente scomparso, alla Camera dei Deputati. Fu proprio la Rai del 1954 ad investire su tre giovanissimi intellettuali: Vattimo stesso, Umberto Eco e Furio Colombo per pensare un palinsesto “rivolto ai giovani”, sapendo intercettare allora le tendenze emergenti più interessanti del momento.
Se ne potrebbero fare molti altri di esempi ma il nodo è proprio questo: se ha un senso una istituzione pubblica di cultura popolare è quello di poter – a differenza delle realtà puramente commerciali – scommettere e investire le risorse pubbliche che ha nel fare approfondimento, qualità e ricerca, innovazione, nell’andare a caccia di talenti e nel provare a farli emergere.
Una Rai ridotta a grancassa del potere del momento, impoverita di pluralismo e asservita alla maggioranza politica non serve a nulla e fa solo danno.

Io immagino una Rai capace di innovare e di rischiare. Magari anche mettendo in discussione per questo qualche indice di ascolto. Qui invece l’unico risultato pare questo: pur di sbarazzarsi del volto nemico, del personaggio o del professionista venuto a fastidio di chi a preso il potere, scelto come simbolo di una cultura “di sinistra” da abbattere, l’unica cosa che si abbatte davvero sono gli indici di ascolto. A beneficio, forse voluto, (a pensar male si fa peccato, però…) della concorrenza privata.
Sarebbe davvero interessante se qualcuno della supposta cultura della nuova destra volesse raccogliere questa sfida.

Irene Manzi (Deputata Pd)

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