Questa volta il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna nonché presidente dei vescovi italiani, esce dalla politica italiana per avallare l’appello di papa Francesco, che domenica ha chiesto non solo di fermare la guerra ma di aprire un canale di dialogo. Di quel dialogo di cui Zuppi è un esperto internazionale, vista la mediazione che attraverso la Comunità di Sant’Egidio (e l’allora don Zuppi) ha portato esattamente 30 anni fa alla pace in Mozambico, dopo 17 anni di guerra civile, morti a migliaia e 4 milioni di profughi.

Certo ogni situazione è diversa, si schermisce l’arcivescovo nell’intervista a la Repubblica, però nel caso del Mozambico c’erano davvero i presupposti per modificare la situazione. «Nel caso del Mozambico le negoziazioni durarono circa due anni. Entrambe le parti vollero realmente affrontare il problema e la Comunità di Sant’Egidio mediò il dialogo, perché è fondamentale un luogo neutrale. Non c’è una formula, però, ogni situazione è diversa. Bisogna disinquinare dall’odio, dalle speculazioni, dalla logica dei torti e delle ragioni, per trovare una grammatica comune, magari con le garanzie internazionali necessarie». Una grande differenza tra Mozambico e conflitto in Ucraina, Zuppi la vede nel fatto che mentre in quest’ultimo sembra possibile una vittoria militare, nel paese africano «non c’era l’ipotesi di una vittoria militare: la pace era l’unica via possibile. Non è stato facile comunque tessere la via del dialogo, che richiede tempo e attenzione. Però è sempre possibile, bisogna crederci con forza. Noi fin dall’inizio abbiamo creduto che il denominatore comune fosse l’appartenenza all’unica famiglia mozambicana».

Eppure – aggiunge – a ben guardare un denominatore comune esiste pure tra Ucraina e Russia: la coesistenza e l’essere cristiani. E porta ancora acqua allo spegnimento del fuoco: «L’importante è capire che il primo passo per la pace può sembrare il più rischioso, ma è quello che porterà alla vera vittoria: la pace nella giustizia. Il Papa ha chiesto a Putin di fermare la spirale di violenza e di morte e a Zelensky di prendere in considerazione serie proposte di pace. Si tratterà di trovare la via giusta di composizione. Lo ha ricordato l’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger: un dialogo, anche solo esplorativo, è essenziale in quest’atmosfera di guerra e nucleare. Ecco. Oggi in Ucraina c’è bisogno di avviare il dialogo: fosse anche solo esplorativo, ma va avviato».

Quanto alla necessità di arrivare a un vero dialogo, il cardinale non solo si schiera senza mezzi termini a favore ma ha anche le idee molto chiare sugli esiti negativi e deleteri della mancanza di dialogo. «La guerra ha una logica geometrica terribile, impone l’idea che la verità non esiste più e che non puoi tornare indietro. Questo è l’inganno del male che ti irretisce e ti trascina in un disegno di morte. Urgente è bloccare l’escalation, non possiamo permettere che l’uso di armi nucleari diventi convenzionale, che si normalizzi. In questo devono giocare un ruolo gli organismi internazionali. Bisogna ricreare nuova fiducia nella composizione pacifica e nel controllo internazionale su eventuali accordi, fiducia che ora non c’è». E ci sono anche delle conseguenze ancora più nefaste, nei conflitti, quando “il grido di vita e di pace delle vittime non viene ascoltato dagli uomini”, perché «si abituano, lo mettono a tacere, pensano che riguardi altri. Le vittime ci ricordano, invece, che quello che è successo a loro può accadere anche a noi, perché non succede sempre agli altri».

E al termine dell’intervista il cardinale riflette su un esempio tratto dalla storia italiana. «Il fratello di uno dei martiri di Marzabotto, don Ubaldo Marchioni, ha sempre parlato di perdono: altrimenti, diceva, si diventa uguali a quei tedeschi che ammazzavano per odio, pregiudizio, intossicazione ideologica. Non dobbiamo mai diventare così, altrimenti cominceremo a odiare pure noi». Ieri, oltre alla presenza nei media con l’intervista, il presidente dei vescovi italiani era ad Assisi in occasione della festa di San Francesco, collegando attualità internazionale, emergenza sanitaria, attualità italiana, in un ampio affresco da cui trarre rinnovata energia per rendere l’Italia migliore. Nell’omelia della Messa, celebrata nella Basilica del Santo, il cardinale Zuppi ha affidato l’Italia all’intercessione di San Francesco: come lui “tutti possiamo essere artigiani di pace”, ha assicurato. Ed ha aggiunto: «Ecco la luce della lampada che l’Italia intera accende oggi con il suo Patrono, perché diventi tante luci che rendano umana e fraterna questa nostra unica stanza che è il mondo».

Poi la citazione di una delle Ammonizioni di San Francesco: «Beato l’uomo che offre un sostegno al suo prossimo per la sua fragilità, in quelle cose in cui vorrebbe essere sostenuto da lui, se si trovasse in un caso simile». «Laudato Si’. Fratelli tutti. Grazie San Francesco, prega per noi, per l’Italia e per il mondo intero. Pace e bene», l’invocazione finale. In precedenza sempre nell’omelia aveva auspicato che lo spirito di San Francesco «sostenga, in un momento così decisivo, l’amore politico e di servizio alla casa comune, perché nella necessaria diversità tutti concorrano all’interesse nazionale, indispensabile per rafforzare le istituzioni senza le quali nessun piano può essere realizzato e per affrontare delle sfide così grandi».

In particolare «il nostro Patrono, uomo universale, aiuti l’Europa a essere all’altezza della tradizione che l’ha creata e il mondo intero a non rassegnarsi di fronte alla guerra. Lui, amico di tutti, ci aiuti a sconfiggere ogni logica speculativa, piccola o grande, anonima e disumana: la speculazione è sempre una forma di sciacallaggio che aumenta le ingiustizie e crea tanta povertà, e mi sembra che non manchi. Fratelli tutti, ad iniziare dai più fragili, come gli anziani, che sono una risorsa e non un peso, che vanno protetti a casa dove conservano tutte le loro radici e dove ci aiutano a trovarle. Fratelli tutti che guardano al futuro, che lo desiderano per gli altri lottando contro il precariato dei giovani, dando loro fiducia e sicurezza perché possano dimostrare le loro capacità senza paternalismi insopportabili».

Quanto al futuro, il cardinale ha aggiunto con grande chiarezza che ci sarà un domani, per l’umanità, solo nel «rispetto dell’unica casa, dell’ambiente, perché possiamo continuare a cantare la bellezza del creato. Curiamo le ferite profonde nascoste nelle pieghe della psiche – quante il Covid ne ha lasciate! – o con la competenza professionale ma anche tessendo comunità e fraternità che donano sicurezza e fanno sentire protetti e amati. La nostra comunità è forte, ha tanta storia e umanità, per essa nessuno è straniero e insieme si trova il futuro che tutti desiderano. Viviamo la benedizione che sempre è la vita, la sua bellezza perché sia anche appassionante trasmetterla e donarla, garantendo la grandezza della maternità». Le parole da declinare nell’immediato futuro, ha concluso, sono prima di tutto pace e poi “umanità”, perché «aiutare gli altri ci fa trovare noi stessi».

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Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).