Era il paese di Ben Alì, musulmani moderati che accoglievano Craxi come il capo di Stato che era e tutti gli altri come ospiti. Era uno dei paesi delle primavere arabe, e la sua rivoluzione dei Gelsomini aveva acceso mille promesse, sulle libertà, le riforme, i diritti delle donne. Oggi la Tunisia è un luogo di ferocia inumana dove l’uniforme della Guardia costiera e di altre forze di polizia autorizza ogni abuso. La Tunisia come la Libia o l’Algeria, il Marocco o l’Egitto. Le loro vittime predilette sono i migranti che sfidano il Mediterraneo pensando che la loro scommessa siano i trafficanti e il mare, e invece scoprono bruscamente che c’è di molto peggio. Può capitarti di essere intercettato dalle milizie del presidente tunisino Saïed o da quelle di altri governi nordafricani perché inizi il più spaventoso degli incubi.

“Stipulare accordi con i paesi di frontiera per contrastare l’emigrazione clandestina”. “Riportarli indietro e aiutarli a casa loro”. Questi sono gli slogan dell’Unione europea, questi i proclami del governo italiano. La realtà è fatta di sequestri di persona che si trasformano presto in furti, pestaggi, ricatti, e poi in violenze che non risparmiano neppure bambini e donne incinte. E che finiscono spesso nella più spietata delle condanne: gruppi interi lasciati senza nulla alla mercé del mare o del Sahara. Morite, rifiuti dell’umanità, ma fatelo lentamente e respirando il terrore.

È una realtà che va ben oltre le già tragiche epopee delle barchette che non resistono alle onde e riempiono di cadaveri il mare nostrum. Qui siamo alla strage autorizzata, e inflitta con le modalità più sadiche e atroci. Qui siamo al film dell’orrore di gruppi di disperati che si stringono alle 4 del mattino in una delle tante imbarcazioni di fortuna per Lampedusa o altri luoghi della speranza. Poi incrociano una motovedetta con le insegne tunisine o di altri paesi limitrofi. La prima azione di questi “attuatori degli accordi internazionali” è di riempire d’acqua la barca dei migranti o di speronarla. L’obiettivo è farla naufragare. I più deboli, fra coloro che finiscono in mare, vi resta sepolto. Padri e madri cercano di salvare i bambini, ma non sempre è possibile. Per chi resiste, inizia un altro percorso di tortura. Bastonate e ogni altra violenza fisica, stupri e richieste di riscatto, fino alle deportazioni in luoghi – le prigioni libiche o i deserti – da cui non si esce interi e spesso neppure vivi.

È ormai chiaro che Bruxelles sulla questione dei migranti irregolari cerca di mettere la polvere sotto il tappeto. Ma negare è sempre più difficile. Le testimonianze dei sopravvissuti vanno tutte nella stessa direzione. E siamo in un’epoca in cui le tecnologie rendono tutto visibile e trasparente in tempo reale. Ci sarà sempre un cellulare che sfuggirà alle perquisizioni dei nuovi aguzzini, che usano i metodi delle polizie segrete comuniste o fasciste avendo di fronte neppure avversari politici ma povera gente che insegue un sogno. Come Fatoumata, partita dalla Guinea insieme alle figlie per salvarle dalle mutilazioni genitali per vederle morire, o il camerunense Waffo di cui dice la rivista Melting.pot: solo dopo anni è riuscito a dare un nome alla tomba di sua moglie e dei suoi figli, annegati dopo l’aggressione della guardia costiera tunisina. “Siete andati dove non c’è ritorno, in un regno che non conosco, amori miei”.

Le organizzazioni internazionali accusano Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, di collaborare attivamente con i reparti tunisini e degli altri paesi nordafricani in questa pulizia etnica che non fa prigionieri. Non si può essere certi che sia vero. Ma il problema è tutto qui. L’Unione europea in mare dovrebbe esserci, ma per fare l’esatto contrario. La retorica della cittadella assediata della democrazia e dei diritti umani deve fare subito i conti con le quotidiane cronache di massacri. L’Europa, se vuol essere all’altezza delle sue stesse declamazioni, non deve solo fissare soglie ampie e condivise di ingressi regolari. Non deve solo garantire in primis la salvezza di chi si avvicina alle proprie coste. Non deve solo precisare in modo chiaro e inequivocabile le condizioni per le richieste di asilo politico. Ma deve sporcarsi le mani anche con gli irregolari, pattugliando il Mediterraneo per tutelare i migranti e garantire che il rimpatrio avvenga in condizioni rispettose dei loro diritti. L’Unione, invece di combattere le Ong che salvano vite e denunciano i casi di violenza sugli inermi, dovrebbe renderle superflue. Altrimenti non si capisce più la differenza con gli arruffapopoli che promettono ai loro connazionali di difendere con ogni mezzo le sacre sponde sovraniste, e quindi imbracciare il fucile, mettersi di vedetta e sparare a chiunque compaia all’orizzonte.