Il programma del centrodestra
Flat tax, perché secondo Confindustria “è una follia”

Gli aut-aut di Confindustria su flat tax e prepensionamenti. «Non possiamo permetterci né gli uni né gli altri o altre fantasiose follie e dobbiamo invece impedire l’incontrollata crescita di deficit e pil», avverte Carlo Bonomi, numero 1 degli industriali. Le manovre interne sulla squadra di governo con l’aut-aut, questa volta di Meloni, all’ipotesi Licia Ronzulli ministro della Sanità.
“Il cerchio magico di Arcore, no quello no” è il malumore che filtra dalla stanza dei bottoni, cioè il gruppo Camera di Fdi, dove la leader di Fratelli d’Italia trascorre le giornate con alcuni fedelissimi. Che dire poi della smania di Salvini – e questa non sarebbe neppure una notizia ma la routine – che oggi convoca a Roma la segreteria federale della Lega per accelerare sulla squadra di governo. Velocità contro riflessione, il solito movimentismo (di Salvini) contro il profilo istituzionale che è il nuovo abito di Giorgia Meloni dalla sera del 25 settembre quando ha stravinto le elezioni. La modalità istituzionale della leader di Fdi – la postura draghiana, come va di moda dire adesso – contro l’attivismo e la voglia di fare di alleati e sodali. Va bene non esultare, dimostrare misura e abbandonare le invettive della campagna elettorale.
Però attenzione ad accentrare e silenziare troppo. Un’altra giornata di silenzio e lavoro per Giorgia Meloni. Contatti con palazzo Chigi, soprattutto con il ministro Cingolani per il sempre più urgente dossier gas e con il ministro Franco per fare quadrare i conti sul decreto Aiuti numero 4 che sarà il suo primo atto di governo da presentare tra ottobre e novembre quando andranno in scadenza bonus e sconti per i costi dell’energia. Draghi sovrintende il “passaggio di consegne ordinato e collaborativo” sempre necessario, obbligatorio nelle circostanze critiche come quelle attuali. L’ordine di scuderia è non dire una parola. Non fiatare. Ma gli spifferi escono lo stesso dalla coalizione. L’aut- aut di Bonomi è arrivato inatteso. All’assemblea degli industriali di Varese è stato esplicito: «Non possiamo permetterci immaginifiche flat tax e prepensionamenti. Non vogliamo negare ai partiti di perseguire le promesse elettorali ma oggi energia e finanza pubblica sono due fronti di emergenza che non possono ammettere follie per evitare l’incontrollata crescita di debito e deficit».
Una doccia gelata, inattesa, perché la flat tax è il punto numero 4 del programma di centrodestra. Si parla di una tassa piatta al 15% estesa alle partite Iva con reddito fino a 100mila euro l’anno (attualmente riguarda i redditi fino a 65mila euro). La tassa piatta sarà applicata anche ai “redditi aggiuntivi”, cioè al reddito eccedente rispetto all’anno prima. Nel programma si parla anche di “ulteriori ampliamenti a famiglie e imprese” che però non sono specificati. E di innalzamento delle pensioni minime, sociali e di invalidità, e maggiore flessibilità in uscita. Cioè lo stop, ennesimo, della Fornero (un’altra priorità visto che il 31 dicembre scade Quota 41). La frecciata arriva a metà pomeriggio. Per tappare una possibile falla Meloni manda un pompiere travestito da Giovanbattista Fazzolari, l’uomo del programma. «Il programma del centrodestra sulla flat tax è ben preciso: flat tax sul reddito incrementale e sui redditi fino a 100mila euro. Nella prima legge di bilancio non ci sarà di più, anche perché non ci sarebbero i tempi per farlo». Non si parla di risorse a copertura che è invece ciò che preoccupa Confindustria. Puntuale come una cambiale arriva Claudio Borghi, fedelissimo di Salvini. «Non fare flat tax e tenersi la Fornero? No grazie. Ringraziamo Confindustria per il consiglio non richiesto ma la Lega mantiene gli impegni presi con i cittadini».
È una crepa importante questa della flat tax. Quasi peggiore della differenza di vedute sullo scostamento di bilancio per restituire soldi in tasca agli italiani. Il problema più serio, perché immediato, resta proprio la formazione della squadra di governo. Forza Italia e Lega fanno asse comune: chiedono pari dignità, cioè la bellezza di quattro ministeri a testa e la esclusione di tecnici. «Abbiano i nostri esperti, non si capisce perché dovremmo chiamarne da fuori», è stata la replica di Salvini e Berlusconi. I ministeri “tecnici” sarebbero Interni, Esteri, Difesa e Finanze. Su questi varrà il potere di interdizione del Quirinale in base all’articolo 92. Ma vale anche, come spiega Donzelli (Fdi) che con il taglio dei parlamentari esiste soprattutto al Senato il problema di non coinvolgere in incarichi di governo i senatori eletti che è bene seguano i lavori di aula e commissione.
Le mire di Salvini sul Viminale sembrano essersi un po’ raffreddate. Andrebbero bene anche le Infrastrutture (da cui dipende, tra le altre cose, la Guardia Costiera) che però sono state promesse a Edoardo Rixi e l’Agricoltura, promessa a Gianmarco Centinaio. Forse il lavoro, e quindi le pensioni? Salvini vuole un ministero di peso. E ha le idee chiare. Domani sarà pronto il suo governo. Da quanto trapela, Meloni sparge consigli anche in Forza Italia. Berlusconi sabato mattina ha messo sul tavolo la sua cinquina di intoccabili: Tajani (Esteri l’opzione migliore) anche per dare fiducia sulla collocazione internazionale dell’Italia; Licia Ronzulli e Anna Maria Bernini, Luigi Barelli. I problemi sarebbero nati sull’ipotesi Ronzulli al ministero della Sanità. Per il discorso della funzionalità del Senato con il taglio a 200 senatori. A qualcuno, sempre nella maggioranza e appena più maligno, viene in mente invece che “la senatrice Ronzulli durante la pandemia ha avuto una linea molto rigorosa. Il problema è che sia Lega che Fdi si sono ben guardati da dire le rispettive posizioni su contagi e misure durante la campagna elettorale. Il risultato è che non sappiamo cosa succede se dovesse malauguratamente ripartire il contagio. Ronzulli lo saprebbe, con laicità e misura”.
Il nodo vicepremier (uno per ciascuno a Fi e Lega) sarebbe stato risolto nel senso che non se ne fa nulla perché “i vicepremier in sé sono sintomo di governo sotto ipoteca”, l’opposto dell’idea performante che vorrebbe dare Meloni al suo governo. Sul Mef l’ultima parola di Panetta, attuale numero 2 Bce, dovrebbe arrivare a metà settimana. È la casella più importante, da cui discende tutto il resto. La strada da qui al 13 ottobre, prima convocazione delle Camere, sembra ancora lunghissima. Soprattutto in contrasto all’emergenza e alla necessità di prendere decisioni immediate sui prezzi dell’energia. Domenica c’è stata un’accelerazione sull’agenda e ha preso campo l’ipotesi che il governo Meloni possa giurare tra il 18 e il 19 ottobre.
In tempo per partecipare con pieni poteri al vertice di Bruxelles del 20-21 ottobre decisivo per le misure relative al caro energia. Ieri sera fonti di Fratelli d’Italia hanno invece voluto precisare che «in riferimento ai vertici delle prossime settimane non c’ è alcuna volontà di creare fratture tra l’attuale governo e quello che verrà» e che quindi «tutti i documenti che arriveranno a Bruxelles saranno il frutto del lavoro dell’esecutivo ora in carica». Sarà ancora Draghi il premier italiano a Bruxelles in quella data. E le sue scelte potrebbero non coincidere con quelle del governo che verrà. Tre giorni dopo il vertice.
© Riproduzione riservata