Le turbolenze nel Carroccio
Flop Salvini, nella Lega è già resa dei conti: governisti, salviniani e nordisti allo scontro nel consiglio federale
Salvini ha raccontato di “essere andato a letto incazzato” ma “di essersi risvegliato carico a molla”. Insomma, nessuna voglia di fare marcia indietro, nessuna apertura a dimissioni dopo il clamoroso risultato elettorale del Carroccio, sceso sotto quota nove per cento con l’alleata Giorgia Meloni che fa quasi tre volte il suo risultato nelle urne.
Ma lo scoppiare della bolla di popolarità del ‘Capitano’, un lungo percorso discendente iniziato col boom delle Europee 2019 con la Lega portata al 34% e finito tre anni dopo col Carroccio precipitato a livelli tali da mettere in discussione le stessa leadership di Salvini.
Il primo appuntamento per il redde rationem sarà già domani, 27 settembre, nella sede di via Bellerio: lì è stato convocato il consiglio federale per analizzare gli esiti del voto. Ma che tira aria pessima per Salvini emerge dalla mossa dei governatori del nord del Carroccio, che hanno convocato già oggi un vertice aperto soltanto ai presidenti.
A lasciar intendere il clima è stato il governatore del Veneto Luca Zaia, con uno sfogo all’Ansa che sa già di resa dei conti interna al partito: “Il voto degli elettori va rispettato, perché, come diceva Rousseau nel suo contratto sociale, ‘il popolo ti delega a rappresentarlo, quando non lo rappresenti più ti toglie la delega’. È innegabile come il risultato ottenuto dalla Lega sia assolutamente deludente, e non ci possiamo omologare a questo trovando semplici giustificazioni”, le parole di Zaia, di fatto portavoce di un asse del nord che comprende anche i due governatori Attilio Fontana (Lombardia) e Massimiliano Fedriga (Friuli Venezia Giulia), oltre al ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti.
Le parole più dure arrivano però da Bruxelles, dove l’europarlamentare trevigiano della Lega Gianantonio Da Re chiede espressamente la testa del leader: “La disfatta ha un nome e cognome, Matteo Salvini. Dal Papeete in poi ha sbagliato tutto, ha nominato nelle segreterie delle persone che hanno solo ed esclusivamente salvaguardato il proprio sedere. Quindi si dimetta, passi la mano a Massimiliano Fedriga e fissi in anticipo i congressi per la ricostruzione del partito“.
Ma il fronte del nord non è l’unico a promettere battaglia nel partito. Perché la linea di quest’ultimi è finita nel mirino dei fedelissimi del segretario. A farsi portavoce del Salvini-pensiero è stata Susanna Ceccardi, candidata della Lega alle scorse regionali in Toscana e che, dopo la sconfitta, ha rinunciato al posto di consigliera per tornare all’europarlamento.
Per la Ceccardi le responsabilità del tracollo leghista sono da cercare proprio nell’appoggio all’esecutivo di Mario Draghi, fortemente sponsorizzato proprio dall’asse del nord. “L’appoggio al governo Draghi ci ha annientati e all’interno del partito coloro che hanno messo in discussione il nostro segretario e lo hanno indirizzato verso l’appoggio al governo perché “ce lo chiedeva il Nord produttivo” dovrebbero fare una profonda riflessione. Il nord produttivo ha votato chi stava all’opposizione, bocciando completamente l’agenda Draghi”, è l’analisi della Ceccardi.
Così domani nel consiglio federale la Lega rischia di trovarsi impantanata in una situazione classicamente di sinistra, tra divisioni profondissime sulla linea politica: da una parte i governisti alla Giorgetti con i presidenti di Regione, portavoce del Nord produttivo; dall’altra i salviniani, fedelissimi della linea del segretario di spingere il partito ad uscire dall’ambito puramente settentrionale e spingerlo a destra; infine i nordisti, quella parte di elettorato che vorrebbe il ritorno alla Lega delle origini, quella bossiana che aveva nel nome il Nord e che combatteva per la secessione della Padania.
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