Tripoli senza tregua
Flop su mediazione Libia, Italia è zimbello d’Europa
Il Generale non ubbidisce agli ordini dello Zar. E sfida direttamente il Sultano. Non è la trama di un libro di avventura, ma è la sintesi della guerra per procura che si sta combattendo in Libia. Finita prima di cominciare. In Libia la parola tregua è impronunciabile. Khalifa Haftar (il Generale) ha respinto la proposta di cessate il fuoco in Libia avanzata ieri dalla Russia di Vladimir Putin (lo Zar) e dalla Turchia di Recep Tayyp Erdogan (il Sultano). «Ringraziamo la Russia per il suo sostegno, ma non possiamo smettere di combattere il terrorismo», hanno riferito le fonti vicine all’uomo forte della Cirenaica sintetizzando l’annuncio.
«Non si può creare uno Stato civile senza l’annientamento totale di queste formazioni: questi gruppi si sono impadroniti della capitale e godono dell’appoggio di alcuni Stati e governi che forniscono loro droni» ha detto il portavoce del sedicente Esercito nazionale libico (Lna), Ahmed al Mismari, senza nominare direttamente la Turchia. I Paesi che «sostengono le formazioni a Tripoli», ha sostenuto ancora il portavoce delle forze di Haftar, fanno affluire in Libia «un gran numero di terroristi dal mondo intero per combattere le forze armate» libiche. Insomma, il Generale alza il prezzo per dire sì al cessate il fuoco: via tutte le milizie straniere dalla Libia, il che significa, anzitutto, via i turchi. Ma il Sultano non cede.
«Siamo andati in Libia perché è stato chiesto il nostro aiuto contro l’ingiustizia e l’oppressione. Andremo avanti, senza alcuna esitazione, fino alla vittoria», proclama Erdogan. Per il presidente turco è decisiva la sopravvivenza di al-Sarraj visto che a dicembre ha siglato con Tripoli un accordo sui confini marittimi che concede ad Ankara di estrarre gas e petrolio in un’area strategica controllata dal governo libico. Niente tregua, la parola resta alle armi. Ci sarebbero le prime perdite fra le file dei militari turchi in Libia, a pochi giorni dall’inizio della missione. Secondo il quotidiano panarabo Al-Arab, edito a Londra, tre soldati sono stati uccisi e sei feriti in modo serio. La fonte sarebbero media “locali” non meglio specificati. Al-Arab riporta che i corpi dei caduti sono stati portati all’aeroporto di Misurata per essere rimpatriati, mentre i feriti sono stati trasferiti all’ospedale di Nalut, 270 chilometri a ovest di Tripoli. Non è chiaro però dove sarebbe avvenuto lo scontro che ha causato la morte dei soldati. Il fronte più caldo è in questo momento quello fra Sirte e Misurata.
Chi sta perdendo la sua “guerra” è l’Italia. Nonostante gli sforzi del titolare della Farnesina Luigi Di Maio – oggi a Bruxelles per una riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione europea, conclusasi con la riaffermazione del sostegno Ue a un processo di pace guidato dall’Onu – la figuraccia rimediata con il rifiuto del premier di Tripoli a incontrare il suo omologo italiano, ha fatto il giro d’Europa, con il termine figuraccia tradotto in tedesco, in francese, in inglese negli articoli dedicati alla Libia e al fiasco diplomatico rimediato da Roma. Sul dossier libico l’Italia incassa un “fiasco diplomatico”, sottolinea il quotidiano francese Le Figaro.
Il tentativo di “colpo diplomatico” provato dall’Italia è fallito, generando imbarazzo, rimarca il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung. L’Italia sta cercando disperatamente di salvare la propria credibilità diplomatica dopo che il suo tentativo di giocare un ruolo centrale nella risoluzione del conflitto in Libia è deragliato, rivelando tutta la approssimazione al centro dell’azione del governo, rimarca, impietoso, il quotidiano britannico Daily Mail. L’Europa deve parlare con una sola voce in Libia, ripete Di Maio. Ma questa voce è afona. E in Libia nessuno la sente.
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