La rabbia del Cremlino
Fondi russi per finanziare Kiev, l’ira di Mosca per l’iniziativa dell’Europa. Timori al fronte
Il governo russo ha preso malissimo l’iniziativa dell’Ue di scremare una manciata di miliardi generati dai fondi russi che sono bloccati nella Banca centrale europea. Sul terreno ragazzi inesperti e demotivati: lo spettro della depressione insidia Putin e il suo Stato Maggiore
È come nel Deserto dei Tartari di Dino Buzzati, scritto nel 1940 quando l’Italia entrò sciaguratamente in guerra al fianco dei tedeschi: è l’Europa il forte asserragliato e assediato, ma senza fare troppo chiasso e senza poter decifrare ciò che agita la polvere all’orizzonte. È la guerra, questo lo sappiamo, ma si mescolano notizie militari e politiche, truffe e tradimenti e dunque vale la pena per conto di quel che si vede dall’immaginaria torretta di un avamposto senza luogo. Ecco quel che si vede e si intuisce.
Il governo russo ha preso ovviamente malissimo l’iniziativa europea di scremare una manciata di miliardi generati dai fondi russi che giacciono bloccati nella banca centrale europea ed altre banche nel mondo, per dare un segno all’Ucraina. Il portavoce Peskov – un uomo di rara eleganza, un vero dandy al Cremlino – non ha promesso il solito menu di ritorsioni nucleari che è una specialità del presidente Putin e dell’ex presidente Medvedev, ma si è esibito in uno dei suoi numeri preferiti: quello della commiserazione e della nausea. “Ma questa Europa indecente e ladra! Non capisce che rubando i soldi dei russi depositati nei loro forzieri tutto il mondo saprà che quella stessa Europa è il posto meno affidabile per mettere al sicuro grandi somme? E poi, cosa pensano di ricavare con i miliardi rubati ai russi? Vogliono comprare altre armi e darle agli ucraini affinché quelli muoiano uccidendo soldati russi e tutto senza alcun fine salvo quello di uno spreco di denaro, armi e vite umane?”.
La questione di come l’Ucraina userà gli aiuti in armi e denaro che potrebbe presto ricevere dall’Europa, mentre gli Stati Uniti restano paralizzati dal loro conflitto interno, è più drammatica che mai: gli ucraini stanno usando una strategia suicida. Lo dicono gli americani ma lo riconoscono loro stessi e con orgoglio, sostenendo che vale la pena non cedere senza combattere e morire anche per pochi palmi di terra, per un villaggio abbandonato. “Sappiamo che in Occidente non riuscite a capire, ma per noi è importante che tra le truppe russe, specialmente quelle più giovani e inesperte, regni il terrore perché devono sapere che andranno a conquistare terra che non vale nulla, ma avendo di fronte i nostri veterani pronti a morire dopo aver ucciso il più grande numero di russi”, così ha detto mercoledì un portavoce militare ucraino. Le foto sul terreno sono terribili ed esplicite: ragazzi russi senza esperienza morti per quasi nulla, che vanno a combattere demotivati. Non è un problema da poco questo per Putin e il suo Stato Maggiore perché il morale al fronte alimenta il morale in patria. Non è un dettaglio: in tutte le guerre, esaurite le scorte delle armi e delle uniformi, si gioca la carta della depressione, il morale. Inglesi e americani per fiaccare il morale dei civili tedeschi incendiarono Dresda con bombe che producevano un calore così alto da ridurre gli esseri umani a un fluido verdastro, si legge sul verbale d’inchiesta che fu fatto dopo la guerra. I russi fecero tremare i civili tedeschi dopo essere stati loro annichiliti dagli ex alleati tedeschi in casa propria.
La guerra a poche migliaia di miglia da noi sta entrando nella fase dei sacrifici umani. Un Paese europeo importante come la Serbia, che fu bombardata dalla Nato (a Belgrado hanno lasciato gli edifici sventrati così com’erano dopo i missili lanciati nel 1999) resta un Paese filorusso e molto inquieto. E ha ripreso ad armarsi acquistando componenti essenziali per il suo sistema di difesa antiaerea 2K12 Kub. Dove lo ha comprato? Nell’Ungheria di Viktor Orbàn: si tratta di armi di progettazione sovietica reingegnerizzate dalla stessa Ungheria e dalla Polonia. Armi che passano dai magazzini di un Paese membro della Nato a quelli di un Paese ostile della stessa Nato e se ce ne fosse bisogno, questa è un’altra prova dell’ambiguità poliedrica di Orbàn cui si aggiunge quella turca.
Ieri si leggeva sul quotidiano “Hurriyet” di Ankara che gli americani hanno consegnato a Erdogan una lunga lista di aziende turche che aggirano le sanzioni. Non sono state presentate delle prove: gli americani sospettano e i turchi si devono aspettare ritorsioni economiche. La Polonia oggi fa parte, con Francia e Germania, del cosiddetto gruppo di Weimar da cui era partita la scioccante idea del presidente Macron di mandare 2.000 soldati “boots on the ground”. Vladimir Putin, con voce smorzata, ha detto in televisione di sapere tutto sul contingente francese destinato all’Ucraina e del fatto che i francesi sono già a Kyiv anche se non in posizione di combattimento. Ha aggiunto che l’Ucraina è piena di soldati della Nato che dicono di essere soltanto istruttori, ma che invece sono sul campo di battaglia.
Gli inglesi sono sul terreno fin dall’inizio della guerra ed hanno fornito insieme ai norvegesi addestramento e armi con cui sono state inflitte perdite devastanti alla flotta russa del Mar Nero. Le notizie di queste sconfitte e la loro entità sono accuratamente risparmiate al russo comune, ma arrivano capillarmente attraverso la “Rete Navalny” costruita dall’oppositore morto proprio per proteggere i cittadini dalla disinformazione. Alla rete oggi collaborano molti giornalisti indipendenti che riescono a comunicare fra loro. I risultati della loro inchiesta sulle elezioni presidenziali russe stanno creando una crescente agitazione e il termine “Sultanato elettorale” rimbalza da Mosca a San Pietroburgo fino a Vladivostok. “Sultanato” è la parola che indica i luoghi in cui si compiono le frodi elettorali più svergognate: nel Tatarstan, Kemerovo, Saratov, Caucaso del Sud e del Nord, Mordovia, ecco la lista della vetta della classifica in cui i risultati sarebbero pure frodi al 100% e dove Putin ha raccolto fra l’80% e il 100%, accettando una rispettosa media dell’87,28%.
Video e foto, testimonianze e documentazioni inceppabili portano tutte allo stesso risultato: non soltanto secondo i dissidenti, ma secondo i giornalisti che ancora lavorano e gli inviati e commentatori di testate prestigiose come Le Monde, il risultato complessivo delle elezioni consisterebbe in un’unica mastodontica, ridicola e vergognosa truffa. Il popolo ha parlato, ha sentenziato Matteo Salvini con fretta precipitosa e sarebbe molto interessante sapere che ne pensa delle novità che stanno assumendo le dimensioni di uno scandalo non solo russo, ma che coinvolge l’intero “partito russo” particolarmente attivo in Italia.
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