Mentre la campagna elettorale per le europee sta per entrare nel vivo, stiamo assistendo all’ennesima mutazione di Matteo Salvini. C’è stato il ministro dell’Interno securitario del periodo del governo gialloverde di Lega e M5s. Con tanto di maquillage stilistico tutto felpe della Polizia e giacche dei Vigili del Fuoco. Poi l’inabissamento con l’esecutivo di Mario Draghi. E una nuova rinascita, nella prima parte di questa legislatura.

Un battesimo del governo guidato da Giorgia Meloni che, per Salvini, era stato l’epifania di una svolta più sobria. Meno dirette tik tok, la Bestia era stata messa in panchina. Il segretario della Lega, da titolare delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha indossato la grisaglia e ha preferito proporsi esclusivamente come l’uomo dei cantieri. Uno su tutti, anche se è di là da partire: il Ponte sullo Stretto di Messina. Ma la strategia non ha avuto gli effetti sperati.

La Lega sta attraversando uno dei suoi momenti più difficili e il calo nei consensi, certificato dai sondaggi, alle europee potrebbe propiziare perfino il sorpasso da parte di una Forza Italia orfana di Silvio Berlusconi. È questo lo scenario che impone l’ultima trasformazione. Gli osservatori e i frequentatori del Palazzo ci scommettono: «Fino al voto di giugno vedremo un Salvini modello Afd». A destra della destra. Più simile agli alleati tedeschi di Alternativ fur Deutschland che agli altri sodali francesi di Rassemblement National, il partito di Marine Le Pen.

La cronaca politica delle ultime settimane e degli ultimi giorni ci offre una serie di spunti per decifrare la radicalizzazione di Salvini. Una svolta estremista che ruota intorno a due macro temi: la guerra in Ucraina e il rapporto con l’Islam. Sul primo punto Salvini sta oltrepassando, giorno dopo giorno, tutte le linee rosse che dovrebbero separare il pacifismo dal putinismo.

Spiazzante la dichiarazione del segretario del Carroccio all’indomani delle elezioni farsa in Russia che hanno incoronato Vladimir Putin con più dell’87% dei voti. “Prendiamo atto del risultato. Quando un popolo vota ha sempre ragione. Speriamo che il 2024 sia l’anno della Pace”, è stato il commento di Salvini. Parole che hanno provocato la presa di distanza del ministro degli Esteri Tajani, leader di Forza Italia.

Non solo: la mancata condanna delle modalità con sui sono state svolte le elezioni in Russia ha messo in imbarazzo la stessa presidente del Consiglio Meloni, attenta a non uscire mai dai binari del posizionamento euro-atlantico dell’Italia. Salvini vuole approfittarne e cerca di corteggiare un elettorato scettico sull’Occidente e non antipatizzante nei confronti del Cremlino, nonostante il regime russo sia responsabile dell’invasione di un paese sovrano come l’Ucraina.

La verità è che la Lega vede come un incubo il sorpasso di Forza Italia, che rappresenterebbe la pietra tombale sulla leadership di Salvini. A Via Bellerio, quartier generale della Lega, tutti ne sono consapevoli. Anzi, più di qualcuno ci spera. Ma il segretario ha scelto di giocarsi il tutto per tutto, ignorando le sirene nordiste e “moderate” di una fetta di partito sempre più insofferente alle intemperanze dei vertici. Ed ecco che ieri è arrivato un altro squillo, stavolta dal capogruppo leghista al Senato Massimiliano Romeo.

Il senatore fa il controcanto al primo ministro polacco Donald Tusk, che aveva invitato a prendere in considerazione lo scenario di un confronto bellico tra Nato e Russia. “Accanto al giusto obiettivo di proteggere l’Ucraina, i leader europei hanno il dovere di impegnarsi per aprire la via dei negoziati. Il mondo brucia e la ragione suggerisce che anziché soffiare sul fuoco bisognerebbe spegnere gli incendi”, ha spiegato Romeo. Ma i segnali dell’escalation di Salvini si vedevano già il 20 febbraio scorso, dopo la morte in carcere del dissidente russo Alexei Navalny. In quei giorni il mondo occidentale si indignava, mentre il segretario della Lega cercava di minimizzare le colpe di Putin: “Su Navalny faranno chiarezza giudici e m e – dici”.

Anche in quell’occasione Meloni si era trovata in imbarazzo e Tajani era corso ai ripari: “È stato ucciso dal sistema russo”. Salvini è una mina vagante. E lo dimostra la campagna di questi giorni sull’Islam. È stata proprio la Lega a far montare la polemica sulla scuola di Pioltello che ha deciso di chiudere per la festa di fine Ramadan, in segno di rispetto per gli alunni musulmani. Il vicepremier ha cavalcato subito la vicenda. Arrivando a proporre “un tetto del 20% di alunni stranieri per classe”. Proposta rilanciata dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, vicino alla Lega. “Gli italiani siano la maggioranza in classe”, ha detto Valditara.

Il Carroccio, dunque, punta sullo spettro dell’islamizzazione per contenere l’emorragia di voti verso Fratelli d’Italia, ma anche verso Forza Italia. La battaglia di Salvini è speculare a quella condotta da molti partiti della destra radicale europea. L’ordine di scuderia è di cavalcare ogni episodio di cronaca. Come quello di Parigi, dove un preside di un liceo ha sostenuto di essere stato minacciato per avere vietato il velo islamico nella scuola e si è dimesso dall’incarico. “Solidarietà al preside del liceo francese Maurice Ravel. Altro che ‘buonismo, occorre riportare sui banchi di scuola il rispetto per gli insegnanti e per la nostra cultura”, ha twittato Salvini. Un’altra denuncia arriva dall’europarlamentare leghista Silvia Sardone, esponente della parte della Lega più “muscolare” in tema di immigrazione e Islam. “Il profilo X della direzione generale della Commissione Ue per il partenariato internazionale, per promuovere l’uguaglianza di genere, usa in due immagini su tre bambine con il velo islamico. Una scelta francamente inaccettabile”, attacca Sardone. Ed è solo l’inizio.