Senza – ovviamente – pronunciarne il nome, il togato Nino Di Matteo ha paragonato l’intervento difensivo del presidente della sezione gip del Tribunale di Brindisi a quello tenuto alla Camera nel 1992 da parte del leader del Partito socialista. Se Craxi aveva rivendicato il sistema del finanziamento illecito dei partiti, Fracassi pur ammettendo l’esistenza di pratiche degenerative nel sistema delle nomine al Csm ne ha “rivendicato” la loro inevitabilità.

Questa settimana si deve decidere il destino di Fracassi, storica toga di sinistra, finito nell’occhio del ciclone per le sue chat con l’ex zar delle nomine Luca Palamara. Nei suoi confronti era stata aperta davanti alla prima Commissione di Palazzo dei Marescialli una pratica per “incompatibilità ambientale”. La sua permanenza al Tribunale di Brindisi sarebbe stata compromessa essendo venuta meno la piena indipendenza e imparzialità rispetto al servizio di amministrazione della giustizia a causa del clamore mediatico generato dopo la diffusione delle chat intrattenute con Palamara. Di Matteo, illustrando per circa un’ora la delibera di trasferimento di Fracassi, si era soffermato su queste chat, leggendone diverse. «Decidi chi va e poi organizziamo il voto. Fai come gli aggiunti a Roma». Oppure: «Ricordati che ti ho votato Pasca a patto che mi sistemassi Orlando (Massimo Antonio, toga progressista all’epoca in servizio a Lecce e aspirante presidente del Tribunale di Livorno, ndr), non mi mollare». E Palamara: «Assolutamente no, tu ordini, io eseguo».

Il Csm nei suoi accertamenti istruttori aveva anche convocato Orlando, poi diventato capo del dipartimento per l’organizzazione giudiziaria del ministero della Giustizia. Ma il magistrato fuori ruolo aveva detto di non essere a conoscenza di queste conversazioni e che le eventuali domande andavano poste a Palamara e Fracassi. L’ex pm antimafia aveva poi sottolineato le interferenze sulle nomine di direttivi nel distretto di Lecce e le pressioni esercitate sui vertici dell’Associazione nazionale magistrati per alcuni comunicati sempre relativi agli uffici giudiziari pugliesi. Il caso Fracassi è “emblematico della deviazione correntizia” aveva, quindi, concluso Di Matteo chiedendone il trasferimento di sede. Fracassi si era difeso dicendo di aver subito un linciaggio mediatico e che non c’erano stati problemi nel suo ufficio, auspicando che il Csm non volesse farne un capro espiatorio. Il problema del clamore mediatico, dal momento che era le chat era state pubblicate su tanti giornali, si sarebbe riproposto anche altrove, non solo a Brindisi.

Dopo aver posto la questione di utilizzabilità delle chat, Fracassi aveva allora ammesso che nella scorsa consiliatura c’era stata una degenerazione delle correnti per le nomine, aggravata dal fatto che tutti volevano essere votati all’unanimità in Plenum, per dare forza all’incarico avuto. Per raggiungere l’unanimità sarebbero stati necessari continui accordi spartitori. Al termine della discussione la delibera di Di Matteo è stata bocciata. I contrari sono stati undici, sei a favore, tre gli astenuti. Spaccatura in Magistratura indipendente, il gruppo di destra, con Tiziana Balduini che ha votato contro e Antonio D’Amato a favore. Il ruolo di Fracassi era stato di primo piano nella scorsa consiliatura. A riferirlo era stato il togato Massimo Forciniti durante un interrogatorio davanti pm di Perugia titolari del fascicolo a carico di Palamara.

Forciniti aveva detto che “molte cose state decise dal cerchio magico” di Palamara. A farne parte il vice presidente Giovanni Legnini, lo stesso Fracassi, Paola Balducci, laica in quota Sel, e Giuseppe Fanfani, laico in quota Pd. Un cerchio magico che avrebbe cercato di “orientare” l’attività dell’organo di autogoverno delle toghe.
Nei confronti di Fracassi resta ora il disciplinare aperto dal procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, sempre per le chat. Secondo Salvi, Fracassi avrebbe cercato “di espungere dall’elenco dei posti di imminente pubblicazione quello di presidente di sezione di Brindisi, trattandosi dell’ufficio dal quale proveniva e sul quale sarebbe dovuto rientrare (ufficio poi ricoperto al termine del ruolo al Csm)”.