Sempre lo stesso dramma: l'incuria
Frana di Ischia, di chi sono le responsabilità e come si poteva evitare
Sarà coincidenza, ma da quando sabato sera allo speciale del Tg2 ho evocato l’alluvione di Ischia di oltre un secolo fa (che avevo rintracciato negli archivi storici del Cnr mentre mi documentavo per la trasmissione), su tanti quotidiani sono scomparsi i riferimenti al 2009 e l’attenzione si è spostata all’ottobre del 1910. E ne sono molto contento, perché la storia dell’incuria e dello stupro del territorio ha origini lontane e questa ne è solo un’ulteriore testimonianza. Di che sto parlando?
112 anni fa, Casamicciola fu devastata da una frana di cui non abbiamo immagini distinte, ma che, sulla base delle cronache dell’epoca, possiamo definire molto simile a quella attuale. Il re accorse ad Ischia per arrecare sollievo alle popolazioni colpite e porgere i sensi della vicinanza dei fratelli continentali della nuova Italia. Si parlò della spaventevole flussione di fango e di pietre che, precipitando con furia calamitosa senza alcun rattento, percosse l’abitato e comportò distruzione e rovina laddove si imbattè. La commissione di inchiesta, istituita dall’allora governo Luzzatti, dolorosamente constatò la vacanza di opere di presidio idraulico, la manchevole irreggimentazione delle acque dilavanti e l’esorbitante disboscamento alle pendici dei colli. A parte la sovrabbondanza di aggettivazione, potremmo usare le medesime espressioni per descrivere lo stato attuale.
Con due aggravanti, anzi tre. Primo, che le opere di presidio idraulico, -cioè sbarramenti per contrastare il fiume di fango- e l’irreggimentazione delle acque -ovvero lo scavo di canali nei quali far confluire la corrente, onde evitare che investa le abitazioni- sono più carenti oggi di ieri. Nelle foto d’epoca si vedono infatti canali, per quanto insufficienti a convogliare tutte le acque, e terrazzamenti per diminuire la velocità di scorrimento. Di queste opere oggi non c’è quasi più traccia. Per non parlare poi del disboscamento: per far posto all’espansione abnorme dei centri abitati (60mila residenti sull’isola, senza contare le case di villeggiatura di chi non vi risiede), la superficie boschiva è stata drasticamente ridotta. E, come se non bastasse, si aggiungono gli incendi dolosi.
L’ultimo, di vaste dimensioni, risale a soli tre mesi fa, subito dopo Ferragosto. Gli alberi sono l’antidoto delle frane. Intendiamoci, non sempre possono prevenirle, perché se si liquefa una intera collina come a Maierato anche gli alberi vengono trascinati via. Ma nella grande maggioranza dei casi il contrasto degli alberi alle frane e alle colate di fango è molto efficace. La prima ragione è la più nota ed evidente: la matassa delle radici imbriglia la terra e le impedisce di scivolare. Le altre sono meno considerate, ma non meno rilevanti. La chioma si oppone alla caduta violenta della pioggia, che tende a smuovere il terreno, infiltrandosi più facilmente. Ed infine i tronchi che, ostacolando lo scorrimento dell’acqua e del fango, e il trascinamento dei massi, riducono velocità e forza d’impatto.
Veniamo alla terza aggravante. Il nuovo regime climatico. Quante volte ne ho parlato in televisione e scritto sulle pagine del Riformista? Troppe per poterle contare. Sembravano esercizi teorici, divagazioni da scienziato perditempo. Un po’ come lo spillover, il salto dei virus da una specie all’altra, una stravaganza dei microbiologi. Ma quando è arrivato il Covid 19, si è capito che era una spada di Damocle che pendeva da lungo tempo sulle nostre teste e che il sottile capello con cui era sospesa aveva ceduto all’improvviso. Nel 1910 la frana che sconvolse Casamicciola era l’effetto di lunghi giorni di pioggia battente che aveva investito l’isola. Stavolta, invece, tutto si è consumato nel giro di poche ore. È stata una flash flood, un’alluvione lampo. In una notte è caduta dal cielo la quantità di acqua che solitamente precipita in diversi mesi. Non c’è stato tempo per lanciare l’allarme, il dramma si è consumato durante il sonno; il fango e i massi sono arrivati prima dei soccorsi.
Ischia è un territorio intrinsecamente fragile e vulnerabile. Non è un caso che si verifichino nello stesso piccolo posto terremoti e frane. Il motivo è che hanno una causa comune, il vulcanesimo. Ischia è una delle isole Flegree, cioè il prodotto di uno dei fenomeni vulcanici estremi presenti sulla superficie terrestre, il Supervulcano dei Campi Flegrei. I Campi Flegrei appartengono infatti a un gruppo molto ristretto, che conta dieci, dodici membri al massimo, tra cui il famoso Yellowstone, nel Wyoming. Sono quei vulcani con caldere gigantesche che, in caso di eruzione, potrebbero sconvolgere il territorio circostante in un raggio di centinaia di km e alterare il clima del loro continente.
L’eruzione di Toba, sull’isola Sumatra, in epoca geologicamente recente (circa 70 mila anni fa), gettò l’intero pianeta in un inverno vulcanico durato un decennio. Ecco perché solo 5 anni fa avevamo già parlato di Ischia per i danni e le vittime di un terremoto. Ed ecco perché le frane sono così frequenti: le ceneri, i lapilli e le pomici eruttate si depositano sul sostrato roccioso, senza aderirvi tenacemente, come la polvere domestica sui mobili, che può essere asportata passandoci sopra un panno morbido. Insomma. Perché è accaduto? Per predisposizione geologica e per la leggerezza delle amministrazioni, per disinteresse e per smemoratezza, per antico fatalismo e per le nuove insidie del clima. È un cocktail micidiale, di cui nessuno degli ingredienti è salutare.
Ah, avrete notato che non ho parlato degli abusi edilizi. Dicono che questo è il momento del lutto e del raccoglimento e non della polemica. E sia. Ma voglio solo far notare che la palla da bowling non colpisce i birilli quando è lanciata da un giocatore scarso come me, perché cade nei solchi laterali. Ma se invece di metterli solo al centro, piazzate i birilli pure nei solchi… abile o no che sia il giocatore, qualcuno verrà abbattuto di sicuro…
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