La storia che sto per raccontare è una di quelle che mi emoziona, perché con sé porta i segni di un sacrifico fatto per altruismo e fatto per l’innato senso del donare. Lei è Francesca Caridi, una infermiera professionale di Bagheria, in provincia di Palermo, che nel suo ospedale ha visto passare tantissima gente, e si sa quando indossi un camice non puoi affezionarti, devi schermarti. Essere empatici sì, sensibili pure ma farsi coinvolgere dai sentimenti quasi mai. È una regola che piano piano si acquisisce, una forma di autotutela. Ho conosciuto Francesca, la sua forza d’animo ma soprattutto la sua grande capacità di essere presenza, di volere risolvere i problemi, di non lasciarsi trasportare dalle cose negative. Si trovava in ospedale in due diverse occasioni con uno stesso denominatore comune: due neonati abbandonati.
Francesca Caridi e i due neonati abbandonati
Il primo un maschietto dalle guanciotte paffutelle, bello come tutti i neonati lo sono. Per quel bambino è stato subito avviato l’iter per un affidamento finalizzato ad una adozione, per lui nessun problema, le famiglie a farne richiesta erano più di una. E in un tempo in cui le strade del cuore sembrano serrate questa è stata una ottima notizia. La seconda bambina abbandonata era affetta dalla sindrome di down, a causa poi di una agenesia era priva della mano destra. I genitori naturali non l’hanno voluta, per loro era evidentemente un peso e una responsabilità così grande da non riuscire né a conviverci e nemmeno a fronteggiare. Nessun giudizio, capita che non ci si senta pronti. Confusi, smarriti.
Elena, la bimba down che nessuno voleva
Per questa piccola creatura non passarono pochi giorni per essere affidata e poi adottata, per lei nessuna richiesta. Rimaneva lì, in ospedale, con i medici e le infermiere che si prendevano cura di questa anima innocente, che non aveva chiesto né di nascere né di essere abbandonata. Gli assistenti sociali hanno cercato pure ospitalità presso una comunità, in ospedale non ci poteva più stare nonostante Francesca la cullava, le cambiava il pannolino, le comprava le tutine, le dava da mangiare. Se ne prendeva cura non per senso del dovere ma per un amore che ha subito provato, le si spezzava il cuore a vedere una bambina sola abbandonata in un ospedale. Una bambina che aveva bisogno di avere una culla tutta sua, una voce familiare, i sorrisi e gli abbracci che sanno di casa, che sanno di buono, che sono amore incondizionato ed infinito.
L’adozione e l’amore incondizionato
Francesca ha adottato quella bambina, che oggi porta il nome di Elena. Non so se il suo sia stato un atto di coraggio, so per certo che è stato un afflato di dedizione appassionata. Non ha mai pensato né temuto lo stigma sociale che produce pregiudizi, né le difficoltà. È stata una scelta di vita fatta con consapevolezza. Nessun ripiego. Certo, i momenti di sconforto ci sono, le parole sono belle, ma il quotidiano è altro, ci sono i momenti facili e pure quelli difficili. Spesso ci si scontra con un sistema che non vede le persone con disabilità, che le ignora e che fa valere i loro diritti solo dietro pressioni o azioni legali. Elena oggi ha 8 anni, è figlia amata senza misura e senza condizioni, del resto l’adozione restituisce dignità filiale a chi ne è stato privato, è un esempio di genitorialità consapevole e responsabile, comporta una accettazione incondizionata e un amore totalizzante, proprio quello di cui Elena ha bisogno.
Francesca ed Elena raccontano oggi una bella storia di generosità, di un percorso in salita, la nascita di una bimba o un bimbo con una disabilità fa diventare noi genitori “eroi per caso”: ci tiriamo su le maniche e i nostri figli diventano tutta la nostra vita. Francesca, invece, è diventata mamma di Elena perché lo ha voluto, è una donna felicissima, con una splendida bambina che la riempie d’amore, non ha super poteri ma voglia di conoscenza reciproca. Sorride quando le fanno i complimenti per il coraggio mostrato, ma in verità per lei è stata la cosa più naturale e ovvia che potesse fare. Elena è una bambina serena, viaggia con la sua famiglia, ha i suoi spazi creativi, non è una bambina di serie b ma una figlia allegra sostenuta dalla sua famiglia.
La generosità non è morta, possiamo respirare a pieni polmoni, servono però aiuti e sostegni per chi decide di adottare ragazzi fragili, le scelte di genitorialità vanno incoraggiate. Lo stesso coraggio di questi genitori deve esserci nelle politiche per le adozioni: mettere in grado le famiglie adottanti di accedere a strumenti di sostegno che possa affiancarle nei momenti di difficoltà. Si tratta di interventi che hanno un costo ma che garantiscono benessere alle famiglie, aiutandoli a superare i loro disagi. Si tratta di investimenti in benefici, tradotti in successo per tutta la società, che deve ancora ben comprendere il senso vero della comunità. È insieme che si cammina se vogliamo realizzare compiutamente il senso di una inclusione concreta.