La definisce un’uscita «grave», respinge la narrazione del fraintendimento e punta il dito contro la stonatura tra il pacifismo sproloquiato a favore di telecamere e il concetto espresso con il tweet choc (poi cancellato) sull’ex terrorista Barbara Balzerani. Il filosofo Francesco Alfieri va dritto al punto e, senza usare giri di parole, rivolge un attacco a Donatella Di Cesare: «Spesso le sue dichiarazioni sono esagerate e pretestuose». Alfieri inoltre si sofferma sullo spazio mediatico riservato alla professoressa, concentrandosi sul personaggio televisivo costruito nel tempo e sulle ideologie «anche estreme» che caratterizzano le sue sparate nei salotti.

Che giudizio dà al tweet (poi rimosso) di Donatella Di Cesare su Barbara Balzerani?
«Non finirò mai di sorprendermi di come la professoressa Di Cesare sia sempre alle prese con tweet, post sulla bacheca Facebook, in giro da un salotto televisivo all’altro. A mio avviso, il suo tweet riferito alla terrorista delle BR Barbara Balzerani, rispecchia il temperamento della Di Cesare, una donna artificiosamente esagerata, in cerca di visibilità. Ma non c’è da sorprendersi per questa nuova trovata della Di Cesare, che a suo dire ha sempre combattuto le “ideologie”. Bisogna però chiedersi: è possibile combattere le ideologie ricadendo continuamente in ideologie, anche estreme, come fa lei? Ritorno a dire che non c’è da stupirsi perché, a mio avviso, la Di Cesare ha saputo cogliere negli anni l’attenzione mediatica solo e attraverso le sue uscite sopra le righe. Solo che questa volta lei stessa ha compreso di aver calcato troppo la mano in questo tweet, tanto da rimuoverlo e forse sperando di rimanere impunita. Alla fine della fiera quello che a mio avviso è accaduto è che non si è resa conto di rimanere intrappolata in quel sistema mediatico che lei tanto ama, proprio quella “chiacchiera” che i filosofi hanno sempre consigliato di rifuggire. Ma occorre pensare e riflettere prima di scrivere un messaggio pubblico, compreso un tweet, perché la prima responsabilità ricade su chi lo scrive e non si può tentare una difesa affermando che è il lettore ad aver frainteso».

Crede che sia vittima del suo personaggio televisivo?
«Quando mi è stato segnalato questo tweet da un collega la prima cosa che mi è venuta in mente è che la “rivoluzione” di cui scrive la Di Cesare è pericolosa perché elogia ideologicamente la violenza, a maggior ragione visto che questo tweet è stato scritto da una docente universitaria. Eppure dentro di me non mi sono meravigliato, perché basta ascoltare la Di Cesare per accorgersi che spesso le sue dichiarazioni sono “esagerate” e “pretestuose”. Però i salotti culturali si nutrono di queste persone, spiace che una docente di filosofia non se ne accorga. A mio avviso infatti l’intellettuale ha una responsabilità civile, ma di questo ci si dimentica quando le cattedre universitarie sono diventate per molti docenti un trampolino di lancio per la politica. Essere un intellettuale comporta il sacrificio del pensare, non basta occupare una cattedra per divenire un intellettuale. Ma voglio terminare questa risposta alla sua domanda pensando ad Aldo Moro, vittima delle BR e docente universitario. Le parole espresse pubblicamente dalla Di Cesare mi portano tristezza, nel pensare che lei in poche battute ha “negato” la storia e il sacrificio del Professor Moro. Sul “negazionismo” della professoressa Di Cesare ci sarebbe molto da dire, ma occorrerebbe un’altra intervista che vada nello specifico delle sue affermazioni, e non è questa al momento la sede».

Quale atteggiamento si sarebbe aspettato dall’Università La Sapienza?
«Come è naturale che sia in queste circostanze, la Rettrice dell’Università la Sapienza ha preso le distanze dalle dichiarazioni contenute nel tweet della professoressa Di Cesare. Sicuramente con un coinvolgimento ulteriore, da parte dell’Ateneo romano, dettato dall’essere stato sede d’insegnamento di Aldo Moro. Ma, a mio avviso, questo non basta. Perché in quel tweet la dichiarazione “la tua rivoluzione è stata anche la mia” è un’affermazione pericolosa che incita alla violenza. E l’Università non è il luogo dove dovrebbe essere possibile costruire una propaganda politica, ancor di più tale che inciti alla violenza. Non basta prendere le distanze da un simile comportamento, anche se credo che i vertici della Sapienza abbiano ormai familiarità con il temperamento della Di Cesare. Un provvedimento disciplinare in tal caso potrebbe avere senso, non sulla libertà d’espressione che certo va preservata, ma sull’incitazione alla violenza. Sarebbe utile forse per porre fine alla strumentalizzazione in chiave politica del sistema universitario, perlomeno quando viene portata a tali estremizzazioni in nome della visibilità».

Di Cesare ha sostenuto che i post brevi sui social si prestano a fraintendimenti e ha puntato il dito contro «interpretazioni pretestuose». È un’attenuante?
«Questa domanda mi fa sorridere perché mi fa pensare che la Di Cesare si avvicini alle dichiarazioni della Ferragni sul caso Balocco. L’“errore di comunicazione” secondo cui gli altri fraintendono quello che leggono o sentono. Se la Di Cesare sostiene che gli altri hanno fatto sul suo tweet delle “interpretazioni pretestuose” significa che lei non è neppure consapevole di quello che ha scritto e della gravità delle sue parole. E questo non è solo grave, ma anche preoccupante, visto che si tratta di una docente che per decine di anni ha insegnato “filosofia del linguaggio” nell’università italiana».

Senza alcun dubbio Di Cesare gode di uno spazio mediatico importante. Dai salotti televisivi porta avanti le sue tesi pacifiste che però stonano con la frase «la tua rivoluzione è stata anche la mia». È il classico pacifismo di facciata o dietro c’è altro?
«Ho sempre visto con sospetto i “salotti televisivi” perché il più delle volte servono solo a promuovere se stessi e l’autentico “confronto” tra le persone è solo una chimera. Che la Di Cesare goda di uno spazio mediatico importante è sotto gli occhi di tutti e occorre riconoscerle il merito che negli anni si è saputa proporre e costruire questo spazio che ora occupa. Le sue tesi pacifiste devono però fare i conti con i contenuti delle sue dichiarazioni, come, non da ultimo, con il contenuto del suo tweet alla terrorista delle BR Barbara Balzerani. Non so se il pacifismo della Di Cesare sia una “facciata”, ma certo suona molto contraddittorio fare discorsi sulla pace e a un tempo condividere gli intenti con una terrorista. Questo però sembra quello che richiede il sistema mediatico, innanzitutto social e televisivo, a chi vuole emergere: non coerenza di pensieri e argomentazioni ma slogan e messaggi estremi».

E, come se non bastasse, troviamo alcuni suoi articoli su Il Fatto Quotidiano…
«Dal Corriere della Sera al Fatto Quotidiano. Forse al Fatto ha uno spazio di manovra maggiore che prima aveva al Corriere e che poi per forza di cose non è riuscita più a mantenere. Credo che l’andare al Fatto sia dovuto alla vicinanza della Di Cesare col Movimento 5 stelle, di cui ora fa parte della Scuola di formazione culturale. Pensare che questo suo nuovo incarico non sia compromesso dalle tesi della Di Cesare in questo suo tweet sembra strano, vista la grande attenzione rivendicata dal Movimento e da Giuseppe Conte nei confronti della legalità. Ma il M5S è benevolo e forse chiuderà un occhio, o tutti e due».

Nel suo libro “Martin Heidegger. La verità sui Quaderni neri”, frutto di un’attenta analisi filologica dei Quaderni Neri, tira in ballo l’ideologia di Di Cesare.
«Nel mio lavoro ho fatto emergere quanto Heidegger sosteneva nei suoi taccuini e ho interpretato le sue dichiarazioni contestualizzandole e analizzando soprattutto il suo linguaggio. E dal risultato delle mie ricerche è facilmente constatabile che le posizioni della Di Cesare su Heidegger sono il frutto delle sue personali letture che non trovano riscontro nel dato scritturistico. Ma anche sul caso Heidegger la Di Cesare ha utilizzato i suoi agganci in quel tempo al Corriere per far passare le sue tesi sull’antisemitismo di Heidegger. Anche questa operazione, come il tweet dell’altro giorno, era una trovata della Di Cesare per apparire e questo ci fa vedere quanto siamo di fronte ad una dittatura culturale fatta di slogan, tweet e salotti culturali. La ricerca, quella rigorosa, non si nutre di queste effimere apparenze».