I cassonetti anneriti dal fuoco, le vetrine dei negozi in frantumi, le automobili con tutti gli optional tecnologici fracassate, i pavé dei boulevard disassati, detriti di guerriglia urbana ovunque: anche stavolta Parigi rimette a posto tutto quanto. La rivolta delle banlieues ha scosso il Paese ma non è diventata vera politica, ha persino suscitato una reazione contraria di coloro che si sono stretti intorno ai sindaci dei quartieri e delle cittadine offese dalle violenze.

La Francia ne ha viste di peggio. È il 14 luglio e la libertà è ancora là, con uguaglianza e fraternità un po’ ammaccate. Macron procede tra ostacoli e nemici che pregustano una prossima vittoria sulle ceneri della V Repubblica che ha funzionato meglio delle altre quattro. L’argine all’estrema destra (e anche ad una sinistra populista e pasticciona) è ancora Macron.

Si possono distruggere le vetrine, non si può distruggere l’anima della Francia, terra litigiosa ma con Ragione. Sussiste ancora l’attimo impressionista della joie de vivre che si prova al tavolino di un cafè tra due stradine del Quartiere Latino, la spiritualità di certe piccole chiesette a due passi dalla Senna: “Sono a Parigi!”, esclama il visitatore. Qui giunge ottima l’occasione di leggere un piccolo ma prezioso libro di Julien Green, “Parigi” (Adelphi, trad. di Marina Karam). Green, qui è un perfetto flâneur, il viandante che passeggia e medita, su cui Walter Benjamin ha costruito un pezzo notevole della sua filosofia. È bene dimenticare certe brutture della Parigi di oggi e cogliere con Green «una certa leggerezza di cuore che regala la vista di un albero accanto a un tetto oppure, in una via soleggiata, l’improvvisa frescura di una volta buia sotto le sdegnose finestre di un antico palazzo».

Ci sono ancora certe straduzze che scendono verso la Senna, o minuscoli appezzamenti di terra tra le case. Oltre ci sono le mostruosità delle banlieues. «Che cosa sarà Parigi domani?», si chiedeva Green. «Parigi è di una bellezza che a tratti mi preoccupa perché la sento fragile, minacciata». Parole di una attualità sconcertante nel 14 luglio più rannuvolato della sua storia recente.