È possibile che anche François Bayrou, nonostante la sua celebrata attitudine all’inclusione e allo sbancamento degli intoppi impossibili sulla strada del governo, abbia a dichiarare forfait in quella Francia che oggi sembra somigliare sempre più all’Italia delle più vituperate instabilità politiche d’antan. Una cosa però è certa fin da oggi: se c’è qualcuno che può cimentarsi nella mission impossible questo è un centrista, anzi è quanto di più vicino esiste in Francia all’idea di un cattolico-democratico all’italiana, invitato ad agire adoperando formule che la democristianità del secolo scorso ha consacrato nei manuali di diritto pubblico, con il “governo della non sfiducia” noto anche come l’Andreotti III (30/7/1976- 16/3/1978). Insomma: se non ce la fa uno così, davvero non c’è più trippa per gatti per il liberaldemocratico Macron, centrista non per nascita ma per evoluzione successiva.

La sofferenza della Francia

La Francia sta soffrendo per molte cose e non tutte sono riparabili come si è fatto con il munifico restauro di Notre Dame. Tra queste, però, ha un ruolo importante il conflitto, nelle sue molteplici declinazioni: sociale, cetuale, etnico, generazionale ma soprattutto politico, con una divaricazione tra polarità che non si riconoscono reciprocamente. A ben vedere questa è una sindrome abbastanza diffusa nel mondo occidentale contemporaneo, a cominciare dall’America neo-trumpiana. Infatti, sarà perché l’algoritmo che riempie le nostre quotidianità attraverso l’egemonia del digitale non riesce a contenere null’altro se non lo schema “si/no” e “amico/nemico”, dichiarandosi “bipolare” naturaliter; sarà perché intere nuove generazioni di politici hanno conosciuto solo una facile lezione che dice che se vinci governi con i tuoi numeri, se perdi sei contro fino alla fine, dimenticando che la difficile arte del governo si esercita avendo cura non solo dei tuoi numeri ma dell’intero paese; sarà anche per altro ma accade che nei tempi difficili l’ultima spes diventa il centrista di lungo corso.

Il dibattito pubblico

Anche in Italia, paese late comer tra i bipolaristi, la politica vive il conflitto come elemento costitutivo delle sue ragioni, abbassando di parecchio la qualità del dibattito pubblico a livello di spinte emotive scaraventate contro l’avversario. Anche qui un po’ di esercizio “centrista” della politica male non farebbe per sottrarre il paese dalla condizione di conflitto perenne e pregiudiziale. Se ne è trovata traccia persino in questi giorni, dopo le dimissioni dal direttore dell’Agenzia delle Entrate Ruffini, che ha fatto fare titoloni ai giornali immaginando di aver trovato il “federatore” del pulviscolo stellare che rappresenterebbe il centro italiano sparso un po’ di qua un po’ di la, per ascendenza genetica, in quanto figlio di un notabile democristiano della Prima Repubblica.

Con tutto il rispetto per una persona sicuramente degna dal punto di vista professionale e, per quel che se ne può trarre dalle cronache, anche etico, sembra uno dei ciclici ritorni in pagina di un tema che, in assenza di azioni politiche concludenti, è destinato a svanire nel poco. Per meglio comprenderci semplificando: certo che esiste uno spazio politico, forse anche importante, al centro dello scacchiere nazionale, ma questo non significa che automaticamente, issato il pennone, è fatto il partito… nossignore! Chi pensa questo s’è perso qualcosa degli ultimi trent’anni di storia italiana, in cui si sono verificati alcuni eventi decisivi come la scomparsa della forma-partito, intesa come struttura ideologica e organizzativa democratica e popolare, coi suoi congressi e i suoi vertici contendibili.

Il conflitto senza contenuto

Infatti ciò che chiamiamo partiti oggi altro non sono che dei contenitori, spesso del tutto privi di identità culturale e programmatica, a servizio di un leader. Li abbiamo vissuti così per decenni ed oggi diventa un po’ difficile aggregare gente attorno ad idee se non c’è una figura carismatica. Un altro decisivo handicap sono i sistemi elettorali, allestiti – con l’abolizione della scelta dal basso e la consegna della rappresentanza al capo – per favorire la trasformazione in chiave cesaristica dei partiti. Cionondimeno anche l’Italia ha bisogno di una forza politica che spezzi il clima di digrignamento di denti e di campagna elettorale perpetua. Ci accontenteremmo, per il momento, persino di due centri, nelle due polarità destra/sinistra per assorbirne il conflitto, oggi spesso senza contenuto. Ma ritornando all’abc: contenuti, democrazia di partito, leadership corale, generosità nel pulviscolo stellare. Diversamente davvero stiamo a rimestare acqua.