Il fatto che Marine Le Pen, seduta sulla montagna di voti che ha ottenuto l’altro giorno, rinfacci alla sinistra di Jean-Luc Mélenchon gli scambi di amorosi sensi che quella compagine intrattiene con le curve del filoterrorismo antisemita, dovrebbe impensierire innanzitutto la parte destinataria di quell’addebito. Vale a dire quell’iridato complesso “antisionista” che, tra alcuni deplorevoli eccessi di cui si sono resi responsabili, non rinuncia a riconoscere qualche indiscutibile virtù nel curriculum degli autori del 7 ottobre. E che dal mattino di quel Sabato Nero – quando sulla sabbia del Negev non era asciutto il sangue di trecentosessanta ragazzi massacrati, e mentre ancora saliva il fumo degli ebrei bruciati vivi nei kibbutzim – reclama per Israele la soluzione che fa giustizia dal fiume al mare.
Screditare il pulpito da cui parla quella bretone furbastra e rozza, titolare di un latifondo in cui il pregiudizio antisemita è di antica e inesausta coltivazione, non serve davvero a riparare l’immagine dello sfrontato di La France Insoumise che condivide il palco del comizio con Rima Hassan, l’antisemita bardata di kefiah secondo cui gli israeliani addestrano i cani allo stupro dei palestinesi. Chi pure, da sinistra, detestasse di tutto cuore i propositi dell’assembramento reazionario messo insieme e guidato da quella sperimentata demagoga dovrebbe trovare la forza e la dignità di aprire gli occhi sull’abominio civile e politico che, dall’estremo opposto, pretendeva di giustapporsi per contrastarla. Chi pure, da sinistra, si augurasse di vedere almeno rallentata e contenuta l’affermazione di quella destra indiscutibilmente retriva, non dovrebbe fare spallucce davanti al malessere di tante eminenze culturali, civili e politiche del mondo ebraico francese che giungono non solo ad annunciare la diserzione dai tradizionali ranghi elettorali di sinistra, ma addirittura a vagheggiare un voto di segno opposto.
Chi guardi da qui a ciò che succede lassù potrebbe trarre utili indicazioni da una scena che non si ripete identicamente al di sotto delle alpi solo perché in Italia non ci sono cinquecentomila ebrei né cinque milioni di musulmani. Perché anche qui, come in Francia, è ambiguo – quando non esplicitamente avverso a Israele – l’orientamento di un fronte sinistramente incapace di intransigenza quando si tratta (e di questo, non di altro, si tratta) del diritto all’esistenza dello Stato Ebraico. Anche qui, come lassù, c’è il rischio che per alcuni la rivincita sulle destre valga bene un pogrom.