Caso unicum di sorellanza. Arianna Meloni, con alcuna carica pubblica, sarebbe solo per ipotesi indagata. L’altra, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, non smentisce l’eventuale reato (Dio solo lo sa qual è) e parla di “schema già visto con Berlusconi”. Cui prodest la canizza? Chi sa parli e non faccia illazioni di sorta, altrimenti taccia. Agosto, per non farci annoiare nel corso delle ferie, ci ha portato una strana “intentona” giudiziaria a danno di Arianna Meloni. Abbiamo considerato la dietrologia uno strumento molto usato in alcuni ambiti dell’informazione e della magistratura inquirente, e adesso ha fatto scuola alla politica.

Dal “processo all’intenzioni” al “non poteva non sapere” passando per il solito “non si può escludere che”. Teoremi – diventati massima giuridica, intesa come brocardo – hanno fatto vittime illustri, tra cui la classe dirigente della Prima repubblica. Alessandro Sallusti, “la penna di Giorgia”, si rifà al “Sistema Palamara” che influenzerebbe la politica tramite il ménage à trois: una procura, un partito e un giornale. Dal suo canto l’Anm ha denunciato l’ennesimo attacco alla magistratura, “volto a delegittimarla adombrando presunti complotti”. Le solite sceneggiate nauseabonde.

Comunque sia, lo strumento messo in campo in questi giorni è la dietrologia, la cui possibilità di sbizzarrirsi su motivi veri o presunti – che li hanno determinati o che essi nascondono – sono notevoli e di vasta gamma. La “dietrologia sallustiana”, il cui sforzo è di mettere le mani avanti a un eventuale attacco ad Arianna Meloni, non ha concrete pezze d’appoggio credibili. Viene tirato in ballo il più massacrato dal circo mediatico-giudiziario, Matteo Renzi. Ad avviso di Sallusti sarebbe il “mandante”. Perché? Perché Boschi e Paita hanno presentato delle interrogazioni parlamentari per chiedere conto di una presunta partecipazione della sorella della presidente del Consiglio ai vertici di governo in cui si sarebbe discusso di nomine di sottogoverno (Rai e FS). Peraltro le due parlamentari non hanno parlato a schiovere, ma dopo aver letto due quotidiani di una certa diffusione e credibilità (cui si può incolpare di tutto meno che non abbiano notizie degne di fede).

Per la verità, in un’altra occasione sempre Arianna Meloni fu crocifissa perché avrebbe imposto la nomina dell’amministratore delegato di Terna Giuseppina Di Foggia. Siccome ha giurato e spergiurato di non saperne nulla, perché non crederle? Ci sentiamo di spezzare una lancia a suo favore. Le interrogazioni parlamentari ci sembrano un po’ troppo: sarebbero bastate delle dichiarazioni rilasciate alle agenzie stampa. È questo il motivo per cui ha fatto scattare l’allarme nella famiglia di FdI e Sallusti ha fatto del suo meglio. Dal direttore de il Giornale ci saremmo aspettati che avesse scritto sul “verminaio” degli spiati e degli spioni. Ci saremmo aspettati che avesse sollevato l’affaire e, per di più, avesse chiesto a chi di competenza che fine avesse fatto.

Siccome il caso è grasso che cola per Fratelli d’Italia – considerato che il gran numero di spiati è di quel partito – la Meloni ne avrebbe avuto ben donde per terremotare politica, istituzioni, mass media e magistratura. Perché Chiara Colosimo, presidente dell’Antimafia, era tanto dinamica all’inizio ma poi statica nel proseguo? L’attività veniva svolta presso la DNA (Direzione Nazionale Antimafia). L’ufficio di Segnalazioni Operazioni SospetteSOS – della DNA ha fatto 40.000 accessi illegali e, inoltre, si è impegnato in operazioni di dossieraggio definite da Giorgia Meloni “la punta dell’Iceberg”. Lei stessa ha spiegato che “i gruppi di potere hanno utilizzato le informazioni per fare gli interessi propri”. E, di conseguenza, ha chiesto che venissero fuori i nomi dei mandanti. Un pezzo dello Stato contro lo Stato. Perché non ha più mosso un dito da allora a oggi, preferendo la bufala della “dietrologia di Sallusti”? Tanti perché che destano parecchie preoccupazioni democratiche.