Vorrei tanto che si spegnessero i riflettori su questa vicenda per rispettare il dolore mentre mi auguro che si accendano altre luci su una città che diventa comunità e si interroga sui bisogni dei propri figli e sulla necessità di includere le energie di cui sono portatori nella costruzione di un mondo di cui sentirsi parte». Le parole di monsignor Domenico Battaglia risuonano nella chiesa San Ciro, a Portici, gremita per i funerali di Tullio Pagliaro e Giuseppe Fusella, i due giovani brutalmente uccisi perché scambiati per ladri. Si rivolge soprattutto ai giovani, don Battaglia. Non solo agli amici di Tullio e Giuseppe, ma a tutti i ventenni come loro. «Avete due strade di fronte a voi: nutrirvi del rancore e precipitare nel non senso, o seminare nei vostri cuori e in quelli delle vostre famiglie i semi di una speranza e di un’armonia che sono il sogno di Dio».

È nei giovani, la speranza di un riscatto. Don Battaglia non parla alla politica, non cita le istituzioni. Parla ai giovani. «Rifuggite ogni logica di violenza: avete toccato con mano quanto la cecità della violenza può generare vittime e lasciare intere famiglie nel dolore. Proprio per questo vi chiedo di essere strumenti di pace, annunciatori di una nuova civiltà fondata sull’amore e sulla giustizia. Solo così non renderete vana la morte di questi vostri amici». Quale senso può avere la morte di Tullio e Giuseppe? «Vi invito a mettere la vostra energia, la vostra passione, la vostra bellezza, la bellezza dei vostri anni, a servizio di una città da vivere, abitando il nostro tempo, da protagonisti, perché cambiare è possibile», dice don Battaglia, citando la resurrezione del figlio della vedova di Nain per dare conforto ai genitori dei due giovani e invitando tutti a seminare «pace, forza di amare, il coraggio della tolleranza, la finezza della comprensione, la sapienza per non sciupare i doni irripetibili della vostra età».

Esorta, don Battaglia, a non rinunciare mai alla vita, a non sciupare i propri anni, a «non tradire mai il senso profondo della libertà e dell’amicizia». Si rivolge ai giovani ma è un messaggio che dovrebbero seguire tutti. Nell’omelia dell’arcivescovo ci sono parole anche per la famiglia di Vincenzo Palumbo, il 53enne in carcere per il duplice omicidio, «precipitata nella disperazione e nello smarrimento, anch’essa addolorata e basita per quanto accaduto». «Quella notte ci ha messo di fronte a tutte le difficoltà che ogni giorno incontriamo, quello che è successo a Giuseppe e Tullio è uno scenario di guerra che non ha nulla a che fare con le nostre comunità, quello che è accaduto a Tullio e Giuseppe sarebbe potuto accadere a ognuno di noi» afferma il sindaco di Portici, Enzo Cuomo. E proprio questo è uno degli aspetti di questa tragedia che deve far riflettere.

Chiunque poteva essere al posto di Tullio e Giuseppe. Non basta commuoversi per la tragica fine di due ventenni, lavoratore uno, studente prossimo alla laurea l’altro. Serve adoperarsi per fare in modo che la morte di questi due ragazzi non resti priva di senso. E il silenzio di cui parla don Battaglia non sia scambiato per il silenzio dell’oblio e dell’indifferenza. Anzi, di fronte a una simile tragedia si presenta un’esigenza opposta. È il momento di porsi il problema della sicurezza, se non vogliamo ancora altri cittadini sceriffi e figli da piangere.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).