L'intervista
Furio Colombo e il ‘segreto’ su Morricone: “Così nacque la canzone su Sacco e Vanzetti”
Quella ballata non ha fatto solo la fortuna di un film comunque bellissimo. Ha segnato un’epoca, la stagione della contestazione, delle marce contro la guerra in Vietnam. Ma non è rimasta prigioniera del suo tempo. Perché anche oggi, Here’s to you, Nicola and Bart, fa emozionare, commuovere, sognare, grazie all’interpretazione, straordinaria, di Joan Baez, alla musica, struggente, di Ennio Morricone. E al testo di un grande giornalista e scrittore: Furio Colombo. «L’incontro tra due genialità – dice Colombo a Il Riformista – rese ancora più intenso il film-capolavoro del mio amico Giuliano Montaldo». Il film è Sacco e Vanzetti. E questa è la storia di un parto creativo che ha rischiato di non vedere la luce, senza l’ostinazione di Colombo. Ricordare quell’episodio è un modo per onorare, nel giorno della sua scomparsa, un Grande della musica. Un Grande italiano.
Qual è il suo ricordo?
È stato l’incontro tra due genialità, quella della mia amica Joan Baez e quella di Ennio Morricone. Genialità ed umiltà perché nessuno dei due voleva mostrarsi superiore all’altro, tant’è che all’inizio questo “parto” fu particolarmente difficile. Nonostante Giuliano Montaldo e il produttore del film Arrigo Colombo insistessero perché la ballata fosse cantata da Joan Baez, lei era recalcitrante. Ricordo che quando a New York Montaldo cercò di convincere Joan Baez ad accettare la proposta, lei disse un categorico: “no”. Mentre io dissi con la stessa determinazione: “sì”.
E poi cosa successe?
La seconda puntata avviene in Italia, a Fregene. Joan Baez era mia ospite insieme al suo bambino di sei mesi, mentre mia moglie Alice attendeva nostra figlia Daria. Avevo incontrato Montaldo a Roma nell’albergo che l’ospitava e lui continuava ad insistere perché questo “matrimonio” si facesse. A quel punto gli dissi di venire a trovarci a Fregene. Alla fine riuscimmo a convincere Joan. Quello che poi colpì fu l’atteggiamento del maestro Morricone. Il testo della canzone era sulle mie parole e lui iniziò come arrangiatore, quindi con una funzione di “secondo piano”, ma riuscì a costruire una musicalità che si fuse in modo straordinario con le parole. Nacque così quella ballata che ha resistito al corso del tempo e ancora oggi ci fa emozionare, commuovere e pensare.
Lei ha avuto modo di incontrare di nuovo Morricone e costruire con lui un rapporto di amicizia?
La stima reciproca e la considerazione per le attività che svolgevamo non si tradusse in un rapporto di amicizia particolarmente stretto come quello che, ad esempio, avevo con Giuliano Montaldo. Tante volte ho avuto l’onore di ascoltare anche in anteprima dei brani di Ennio e ogni volta dicevo: ma questo è ancora più bello di quello precedente. Quindi c’era una sincera ammirazione. Ricordo anche un altro episodio.
Quale?
Eravamo seduti insieme su una panchina, uno vicino all’altro, in attesa che Francesco Rosi ci chiamasse per farci vedere in anteprima un suo film. Entrambi sapevamo ovviamente chi fosse l’altro, ma rimanemmo in silenzio. A volte il silenzio, e questo è il caso, vuol dire molto più di tante parole magari di circostanza. Era un silenzio tra due persone che si apprezzavano e non avevano bisogno di usare parole per esprimerlo. Un artista come Ennio Morricone non aveva bisogno di tante parole, non era una persona particolarmente loquace. Faceva parlare la musica. Le note erano le sue parole. Nella ballata Here’s to you le parole sono musica e la musica è parola, si fondono insieme riescono parlare sia al cuore che alla ragione di chi la ascolta. È stata una straordinaria fusione che due geni – la cui modestia indica anche una straordinaria umanità e intelligenza – ci hanno consegnato nel tempo e oggi emoziona generazioni diverse. Questo è ciò che fa un grande artista. Genialità e umiltà, Ennio Morricone era ambedue le cose.
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