Esteri
Futuro di Gaza, crisi in Libano e caos in Siria. Il destino del Medio Oriente è appeso a un filo
Resta l’incognita principale: quanto durerà il cessate il fuoco nella Striscia? A Beirut la piena stabilizzazione sembra lontana: Hezbollah torna ad alzare la voce. Il limbo riguarda anche le sorti di Damasco
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associated Press / LaPresse
Only italy and Spain Lebanese soldiers and citizens enter a neighbourhood in the southern Lebanese village of Aitaroun, Lebanon, Monday, Jan. 27, 2025. (AP Photo/Bilal Hussein)
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Il destino del Medio Oriente appare appeso a un filo. Fragili equilibri che si reggono su tregue che possono naufragare da un momento all’altro, rovesciamenti di regimi di cui non si riesce a capire la direzione intrapresa, guerre che ormai sono quasi considerate endemiche. E adesso, dopo più di 15 mesi di guerra a Gaza, il conflitto in Libano e la caduta di Bashar al-Assad in Siria, la situazione non appare vicina a una svolta definitiva.
Gaza
Il destino della Striscia di Gaza è difficile da decifrare. Israele ha condotto una lunga, complessa e incisiva operazione militare. Ma la tregua non sembra capace di raggiungere la seconda fase. E a maggior ragione la terza, quella che dovrebbe garantire la ricostruzione. La soluzione immaginata da Donald Trump, quella di “svuotare” Gaza, ha trovato il secco “no” della comunità internazionale. Ieri nella Striscia è arrivato l’inviato del presidente Usa per il Medio Oriente, Steve Witkoff. Secondo alcune indiscrezioni, l’uomo di Trump avrebbe promesso di ritardare la ricostruzione nel Nord e il reinserimento di tutti gli sfollati finché non saranno fornite garanzie alle comunità israeliane al confine. Oggi saranno liberati altri tre ostaggi israeliani (la cittadina israelo-tedesca Arbel Yehud di 29 anni, l’ultima soldatessa in mano ad Hamas, la 20enne Agam Berger, e Gadi Moshe Mozes, contadino di 80 anni) e cinque cittadini thailandesi. Ma sono in molti a domandarsi fino a quando potrà continuare il cessate il fuoco. Secondo gli esperti, il ritorno degli sfollati a Nord (500mila finora, secondo Hamas) complicherà qualsiasi ripresa delle operazioni. L’esercito dovrà spostare di nuovo centinaia di migliaia di civili palestinesi, cosa che sembra impossibile. Nel Corridoio Netzarim si è assistito al ritiro delle forze israeliane. E se l’ultradestra spinge per ricominciare a combattere, l’impressione – per molti analisti – è che di fatto il conflitto non potrà mai essere ripreso con le caratteristiche di questi 15 mesi. E Hamas, che promette di non voler governare Gaza per sempre, di fatto rimane ancora capace di combattere, di arruolare e di controllare il territorio. E ieri un’alta delegazione del gruppo, guidata dal capo del Consiglio Shura, Muhammad Darwish, è volata in Turchia per incontrare il presidente Recep Tayyip Erdoğan, il capo dei Servizi segreti, İbrahim Kalin, e il ministro degli Esteri, Hakan Fidan.
Libano
Anche in Libano non tutto sembra andare verso la piena stabilizzazione. Il governo israeliano ha ottenuto la proroga del cessate il fuoco fino al 18 febbraio, per mantenere ancora le proprie truppe nel sud del paese dei cedri. I profughi vogliono tornare a casa, o in larga parte vogliono vedere se è rimasto qualcosa delle loro case. Ma l’Idf ha di nuovo sparato contro i civili che hanno contraddetto l’ordine dell’esercito israeliano di non muoversi verso i villaggi del Sud (l’ultimo scontro è avvenuto ieri a Maroun el Ras). Mentre un drone dello Stato ebraico ha colpito la città di Majdal Selm, ferendo cinque libanesi. L’esercito di Beirut ieri ha ricevuto in consegna da Hezbollah una base sotterranea, che dovrebbe essere quella che il Partito di Dio chiamava la base Imad 4. Nei tunnel fotografati dalle truppe libanesi si vedono camion, piattaforme di lancio di missili e armi. Ma, secondo qualcuno, in realtà le armi pesanti sarebbero state tolte prima dell’ingresso delle forze di Beirut. E mentre il governo denuncia le violazioni del cessate il fuoco da parte di Israele, Hezbollah è tornato a far sentire la propria voce. Cosa che preoccupa anche le comunità nel Nord dello Stato ebraico.
Siria
I nodi da sciogliere rimangono anche a Damasco, l’altra metà del “fronte nord” israeliano. L’Idf ha deciso di mantenere a tempo indeterminato la sua presenza sul monte Hermon e nella zona cuscinetto del Golan. Ma gli ex ribelli ora devono gestire non solo il tema dei rapporti con Israele, ma anche di quelli con la Russia. Martedì nella Capitale siriana è sbarcata una delegazione del Cremlino guidata dall’inviato Mikhail Bogdanov. E le discussioni hanno riguardato quello che sta più a cuore a Vladimir Putin in questo momento: il destino delle basi di Latakia e Tartus. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha detto che mantenere il dialogo con le nuove autorità siriane è fondamentale. E secondo alcune indiscrezioni, Ahmed al-Sharaa (alias al-Jolani) avrebbe chiesto a Mosca l’estradizione di Assad in cambio del permesso di mantenere le sue basi nel paese. Richiesta che Peskov ha preferito non commentare.
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