Dal gennaio 2025 la Presidenza del G20 sarà esercitata dal Sudafrica, unico Paese africano a far parte di questo importante consesso mondiale. Un altro membro del club sarà l’Unione Africana, ammessa l’anno scorso fra i 20 (che quindi diventano 21) per dare più voce internazionale alle istanze di quel Continente. Non è difficile immaginare che fra i temi prioritari delle discussioni figurerà la riforma dei meccanismi della finanza mondiale, e l’alleviamento del debito africano, pari nel suo complesso a circa il 75% del totale del GDP continentale.

I dati sul debito in Africa

Qualche altro dato può aiutare a comprendere meglio l’entità del debito in Africa: nel 2024, a causa del rialzo dei tassi per i due anni precedenti, gli interessi sui prestiti in scadenza costano agli Stati africani quasi 75 miliardi di dollari, pari a circa il 15% delle disponibilità di bilancio; cioè più di quanto i Paesi del Continente riescono a dedicare alla sanità e all’ istruzione. Non sorprende che negli scorsi mesi Zambia, Ghana ed Etiopia non siano riusciti a pagare alcune scadenze degli interessi dovuti, incorrendo in un “default”, dal quale stanno tentando di uscire con difficoltà, ma con una sicura perdita di credibilità finanziaria.

Gli strumenti che su questo tema il G20 a guida italiana aveva lanciato nel 2021 erano due: una moratoria di un anno sul pagamento degli interessi del debito, denominata Debt Service Suspension Initiative, sulla quale i Paesi africani riuscirono a posticipare scadenze per circa 5 miliardi di dollari; ed il cosiddetto Common Framework per la ristrutturazione dei debiti in sofferenza, una procedura molto complessa e lunga, ritenuta dagli africani utile, ma insufficiente. Da allora, da parte occidentale non sono state avanzate nuove particolari ricette per affrontare la questione, sebbene il rialzo dei tassi di interesse negli ultimi due anni l’abbia resa più grave, non solo per il Continente africano, ma a livello globale.

Cosa dobbiamo quindi attenderci dal G20 a guida africana nel 2025?

Le proposte sono le più svariate, e naturalmente annoverano anche la più estrema, cioè la cancellazione sic et simpliciter del debito continentale, irrealistica perché metterebbe a repentaglio la finanza internazionale nel suo complesso. Ma Capi di Stato ed economisti africani enunciano anche teorie più sofisticate. In parole estremamente semplificate, la proposta di un “bridge” economico-finanziario per l’Africa, avanzata da illustri personalità del Continente, si articolerebbe nei seguenti termini.

L’ obiettivo comune a livello globale è la crescita dei Paesi africani, di cui si gioverebbero le loro popolazioni, ma anche gli Stati avanzati, visto che viviamo in un mondo interconnesso. Per crescere, l’Africa ha bisogno impellente di infrastrutture, di target energetici ambiziosi e sostenibili, di superare l’emergenza climatica, di impiegare almeno 3 milioni di giovani all’anno nel mercato del lavoro, ed altro ancora. Con la situazione economica attuale, e con le risorse disponibili, non è realistico pensare di raggiungere questi essenziali obiettivi, del valore stimato di 1,6 trilioni di dollari; ed ancor meno è plausibile consacrare al rimborso degli interessi sui debiti il 15% dei budget africani nazionali.

Non tutti gli Stati sono insolventi

In realtà, non tutti gli Stati africani sono insolventi: la più gran parte ha ampie ricchezze disponibili nel medio-lungo termine, ma non ha in questo momento liquidità sufficiente in valuta pregiata; quindi il problema non sarebbe l’insolvenza, ma l’illiquidità di breve periodo. Pertanto i Paesi più avanzati dovrebbero consentire, nel loro stesso interesse, una forte immissione di liquidità a vantaggio del Continente, specialmente grazie ad una nuova moratoria temporanea (in gergo “roll over”) di circa 3-5 anni per gli interessi sui debiti, e l’uso di altri strumenti finanziari della International Development Agency, del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, e delle Banche di Sviluppo africane.

Dopo una sospensione degli interessi sui debiti di alcuni anni, l’Africa sarà uscita dalla crisi di liquidità, e sarà in grado autonomamente di assolvere in modo regolare alle scadenze degli interessi e ai debiti originari, privati e pubblici, dando avvio ad una spirale di crescita, che finirà per coinvolgere anche le economie avanzate. Si tratta di tesi suggestive e “creative”, che non mancheranno di fare qualche breccia nelle più tradizionali impostazioni dei leader economico-finanziari occidentali. D’altronde, fu proprio Mario Draghi a delineare la distinzione fra debito buono e debito cattivo, sdoganando il primo e condannando il secondo, anche se non si riferiva probabilmente alle economie del Global South. Fermo restando quindi la piena legittimità di queste ipotesi, restano però alcuni caveat di carattere politico, più che finanziario.

Il primo è che fra i debiti dei Paesi africani molti traggono origine dall’ acquisto di armi, non sempre per fini condivisibili eticamente, come nel caso dei droni usati dal Governo etiopico per bombardare le popolazioni ribelli del Tigray, dell’Oromia, e dell’Amhara. Inoltre, i debiti non hanno la stessa presentabilità morale, se essi riguardano ad esempio Stati golpisti o dittatoriali, o Paesi africani che lottano per mantenere i loro valori Costituzionali, il buon governo e la “rule of law”. Infine, proprio la negoziazione delle ristrutturazioni e dei riscadenzamenti dovrebbe rappresentare un’occasione per i Paesi occidentali per richiamare il rispetto dei principi umanitari e del diritto internazionale da parte degli Stati richiedenti. Ma questo accade sempre meno spesso, anzi quasi mai.