È un G20 particolare quello che prende forma in India. Un incontro che attraverso le formalità diplomatiche svela la filigrana di un mondo in grande evoluzione. Il vertice serve al premier indiano Narendra Modi per sottolineare l’ascesa del suo Paese come attore sempre più centrale sul tavolo dei grandi. Un’ambizione svelata anche dal nome scelto per indicare lo Stato che ospita il G20: non India, termine che per i nazionalisti è troppo occidentale e legato al passato coloniale, ma il ben più antico Bharat.
Se la forma è sostanza, il segnale che giunge dal Paese dell’Elefante appare chiaro: una svolta identitaria che segna un giro di boa forse decisivo per uno Stato che negli ultimi mesi non solo è diventato il più popoloso del mondo ma è anche entrato a far parte del ristretto club di chi ha raggiunto la Luna. Demografia e tecnologia: un binomio da non sottovalutare cui si aggiunge anche il peso diplomatico in anni di tradizionale equilibrismo. Rivale ma partner della Cina, alleata degli Stati Uniti ma non al punto da legarsi all’Occidente, cliente del petrolio e delle armi russe ma anche desiderosa di non dipendere troppo da un fornitore così scomodo, l’India si è trasformata in una forza sempre più rilevante. E il G20 di Nuova Delhi si rivela il palcoscenico ideale in cui manifestare questa nuova veste politica. Il cambio di passo lo si è visto anche nel modo in cui Modi ha continuamente fatto riferimento al Sud del mondo: galassia cristallizzata in quel Brics allargato su cui oggi Bharat vuole puntare per una difficile leadership.

Ed è anche su questa ambizione che si gioca uno degli scontri al vertice più importanti: quello con la Cina di Xi Jinping. Il leader della Repubblica popolare ha disertato il G20 indiano. Una scelta che per molti osservatori è frutto delle grandi pressioni interne, ma che per molti altri è anche un avvertimento (o affronto) al Paese ospitante. Pechino sa che l’altra parte del pianeta, quella che non guarda a Washington come centro nevralgico e decisivo, sta diventando sempre più importante. Ma è consapevole anche che le difficoltà economiche interne potrebbero incidere sulla capacità di leadership del Dragone. Alcuni media hanno accusato il “principe rosso” di non andare al vertice nella capitale della potenza rivale per una sorta di dimostrazione di superiorità politica, specialmente dopo la pubblicazione della mappa che ha scatenato la paura e le proteste dei Paesi vicini. Non va sottovalutato inoltre che il leader cinese abbia voluto invitare a sorpresa il presidente venezuelano Nicolas Maduro a Pechino negli stessi giorni del summit. Quasi a voler rafforzare il suo ruolo di guida del Sud più che di leader al pari degli altri presenti al vertice. L’assenza di Xi in un vertice così importante può indicare il tentativo di volere affossare il G20, che può essere visto come una piattaforma inefficace se Xi scommette sui Brics. Ma può anche rivelare l’immagine di una leadership interna meno granitica e sicura. Due interpretazioni opposte ma non da escludere.

Del resto, appare spontaneo il parallelo con il presidente russo Vladimir Putin, “alleato senza limiti” assente anch’esso dal summit ma per evitare il mandato di arresto della Corte penale internazionale. La contemporanea assenza dei due e l’invito cinese a un personaggio scomodo come Maduro mentre Putin potrebbe incontrare il nordcoreano Kim Jong-un rischiano di assimilare le due posizioni. Ed è un parallelismo che può essere un assist a favore dell’India quanto dell’altra superpotenza, gli Stati Uniti, rappresentata invece dal presidente Joe Biden. Il capo della Casa Bianca non arriva in ottima forma a questo summit, con la spada di Damocle dell’incriminazione nei confronti del figlio Hunter e con i sondaggi che mostrano la poca fiducia nella sua presidenza e nella sua rielezione. Tuttavia la presenza del presidente Usa rispetto a quella del premier cinese Li Qiang e del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov implica un peso specifico della delegazione di Washington. E questo può anche rivelarsi utile tanto in fase di negoziazioni congiunte quanto nei molteplici bilaterali che si tengono a margine del vertice.

Questo G20, d’altronde, arriva anche in un momento estremamente complesso del grande punto interrogativo della nostra contemporaneità: la guerra in Ucraina. Non è un mistero che le posizioni del Sud del mondo rispetto a quelle dell’Occidente siano diverse, per quanto tutte più o meno concordi sul non accettare l’invasione né una soluzione bellica al conflitto. E riguardo questo summit, le differenze si sono viste anche con le indiscrezioni sul negoziato per la dichiarazione congiunta sulla guerra. L’assenza di Putin e di Xi così come il mancato invito per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky – motivato dal governo indiano con il semplice fatto che Kiev non fa parte dei grandi 20 della Terra – evidenziano che sul conflitto questo non sarà il summit decisivo. Ma è chiaro che l’instabilità internazionale e il sommovimento geopolitico in corso più o meno ovunque non possono escludere quello che appare a tutti come il famigerato “elefante nella stanza”, e cioè la guerra in Europa.
Il caos dilagante preoccupa inoltre sul piano economico. Bloomberg ha rivelato come i leader del G20 siano concordi sulla necessità di politiche coordinate per sostenere l’economia mondiale. Ma in un’era di anarchia globale e di potenze ambiziose ma fragili, la crisi, e con essa la paura, rischiano di prendere il sopravvento.