Ho letto con attenzione l’intervento di Goffredo Bettini sul Riformista. Ben scritto, ben argomentato, animato da un sincero spirito unitario. E coglie nel segno quando ricorda che il quadro politico attuale, più articolato e complesso di quello del 2008, rende inattendibile il vecchio dualismo di coalizione tra progressisti e conservatori. Un tema, questo, che dovrebbe far riflettere il Pd sulla promessa mancata – dagli ex grillini – di una riforma elettorale integralmente proporzionale che avrebbe dovuto accompagnare la riduzione del numero dei parlamentari. Da qui il rilievo che ha la costruzione di un’area liberaldemocratica molto invocata e poco praticata. Bettini ha ragione: non partiamo dai nomi – che sono oggi tanti, persino troppi – con il rischio che qualcuno decida a un certo punto di candidarsi come federatore dei federatori. Poi, battute a parte, aggiunge: partiamo dal basso, da quella multiforme rete del volontariato e dell’associazionismo civico e popolare che costituisce già una risorsa preziosa per un progetto di miglioramento della società.

La polemica dura contro il neoliberismo

Qui confesso la mia perplessità: sì, ma con quali proposte, programmi e obiettivi? Quella rete è stata negli ultimi mesi l’avanguardia di una polemica dura contro il cosiddetto “neoliberismo“, peraltro mai esistito nel nostro paese (culturalmente e politicamente). È stata inoltre la testa di ponte di un pacifismo etico, anticamera di un neutralismo ipocrita di fronte all’aggressione dell’Ucraina e talvolta degenerato nell’appoggio ai cortei filopalestinesi e antisionisti (leggi antisemiti). Sia chiaro: non intendo minimamente criminalizzare una realtà che, con le sue ricche energie e variegate sensibilità, non si presta a facili semplificazioni.

L’assenza di un soggetto liberaldemocratico

E se, invece di partire dai nomi o dal basso, partissimo dalle cose? Se partissimo cioè da parole come garantismo; concorrenza; anti-assistenzialismo; più contrattazione decentrata per salari più alti; transizione energetica anche col nucleare; più crescita per una più equa redistribuzione del reddito nazionale (e non “anche i ricchi devono piangere”); meritocrazia o, se non piace il termine, riconoscimento del valore dell’istruzione e delle competenze professionali (che dovrebbe valere anche per la selezione delle classi dirigenti); costituzionalismo democratico, ovvero difesa intransigente dello Stato di diritto e del diritto a essere liberi e indipendenti per i popoli invasi da odiose autocrazie? Un soggetto liberaldemocratico (preferisco questo aggettivo al sostantivo “centro”) ancora non c’è, e probabilmente non ci sarà nell’immediato futuro. Tuttavia – e non credo di sbagliare – non sono pochi i cittadini-elettori che sarebbero disponibili a contribuire alla sua nascita, purché coinvolti in un percorso non inquinato da personalismi ormai intollerabili. Un percorso che non inizi né dall’alto né dal basso, ma da una discussione seria sui difetti del nostro meccanismo di sviluppo e del nostro modello sociale. E quindi, appunto, sulle cose da fare per correggerli.