Di nuovo un faccia a faccia. Non in Turchia, come sperava Ankara, ma in Russia. Tuttavia, il segnale che è giunto da Sochi è che Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin dialogano e si capiscono nonostante le divergenze, confermando l’idea che il presidente turco rimane l’unico leader atlantico che Putin considera ancora come un interlocutore credibile. Quel battitore libero che, dopo avere rivinto le elezioni e sancito la sua vittoria diplomatica al summit Nato di Vilnius, è tornato in terra russa per parlare direttamente con il nemico numero uno dei vertici dell’Alleanza.
Per i due leader un incontro fondamentale, ma soprattutto una partita dai mille volti. Da una parte erano il presidente della Federazione Russa e quello della Turchia, pronti a blindare i loro rapporti bilaterali. Dall’altra parte, erano anche il presidente di una potenza Nato e colui che ha scatenato un conflitto che ha infranto i rapporti tra Occidente e Mosca. Sotto il primo aspetto, il Sultano e lo Zar hanno fatto capire che i rapporti tra le due sponde del Mar Nero restano ottimi. Per Ankara, Mosca è un fornitore di gas imprescindibile e Putin ha specificato di volere la Turchia come hub del proprio “oro blu” per smistarlo in Europa. A fronte di un fianco est dell’Unione europea e della Nato che ha deciso una frattura totale con la Russia anche sotto il profilo energetico, la Turchia ha mantenuto una posizione molto meno intransigente.

E questa postura, perfettamente in linea con l’agenda turca, è apprezzata da Putin, che ora vuole ripagare il suo partner mediorientale trasformando la Turchia nel centro di distribuzione del proprio gas verso il Vecchio Continente. Svolta che consegnerebbe al Sultano il rubinetto energetico sudorientale dell’Europa.
Oltre al gas, sul fronte dell’energia la partita si gioca anche sul campo nucleare. Erdogan ha discusso con Putin non solo dell’attivazione della centrale di Akkuyu, realizzata nel Paese con soldi e ingegneria russi, ma anche dei negoziati per una seconda centrale nei pressi di Sinop. L’eventualità certificherebbe la saldatura dell’asse atomico tra Ankara e Mosca, ma rappresenterebbe di certo anche una sfida verso l’Occidente e in particolare verso gli Stati Uniti. Sul tavolo dei due leader anche uno dei temi bollenti delle relazioni russo-turche, la Siria, terra dimenticata dove ancora oggi scorre sangue e si giocano gli equilibri del Medio Oriente. Putin ha sottolineato l’importanza del formato di Astana, piattaforma diplomatica che coinvolge Iran, Russia e Turchia e che ha ormai sostituito il processo negoziale ufficiale, quello di Ginevra. E per Ankara e Mosca, consolidare il dialogo sulla Siria significa soprattutto confermare quel condominio mediorientale che ha finito per escludere l’Occidente dalla partita sul futuro di Damasco. Del resto, non è un mistero che i due Paesi riescano a convivere anche su posizioni opposte. Ed è proprio questa strana essenza di amici-nemici a rendere Erdogan e Putin l’uno necessario all’altro. Dalla Libia al Caucaso, passando per la Siria, Ankara e Mosca hanno difeso agende opposte ma paradossalmente in grado di coesistere.

I due leader – e con essi anche le due potenze che guidano – danno l’idea di riuscire sempre a gestire il loro complesso rapporto, lasciando ipotizzare anche future declinazioni in altri scenari più nebulosi. Il riferimento è in particolare all’Africa, dove la Turchia si muove in silenzio ma con una strategia radicata dal Mediterraneo al Sahel fino al Corno d’Africa. E questa agenda può andare di pari passo con i piani russi nel continente. Erdogan, durante l’incontro di Sochi, ha fatto intendere di avere tutto l’interesse a collaborare al progetto russo di inviare grano gratis ai Paesi più poveri dell’Africa (“casualmente” anche i migliori alleati di Mosca nel continente). E la Sublime Porta può così entrare in pompa magna nel cuore dell’Africa mostrandosi, al pari di quanto vuole fare il Cremlino, come potenza benefica per disinnescare eventuali crisi alimentari.
Il grano, del resto, è stato il grande tema del vertice di Sochi. E qui entra in gioco anche il secondo aspetto di questa riunione, quello di essere stato l’incontro tra un leader Nato e il presidente di una potenza che la Nato ritiene una minaccia diretta alla propria sicurezza. Putin ha fatto un’apertura: è pronto a rientrare nell’accordo sul grano. A detta del leader russo, l’iniziativa del Mar Nero, siglata da Ucraina e Russia con la mediazione turca e dell’Onu, può essere rilanciata se alle sue condizioni. Ma i droni russi contro il porto di Izmail non sembrano certo dimostrare le buone intenzioni di Mosca. In attesa di una soluzione, Erdogan – che ha sempre mantenuto un rapporto positivo con Volodymyr Zelensky – ha chiesto a Kiev di ammorbidire le posizioni. D’altro canto, il presidente turco non ha mai negato di volere assumere il ruolo di mediatore tra Russia e Ucraina per la soluzione della guerra. E la piattaforma del grano è importante per mettere in contatto i due governi. Il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak ha scritto un post in cui ha spiegato che il vertice di Sochi “conferma che qualsiasi ‘negoziazione’ con Putin è fittizia e inutile”. Il Sultano però potrebbe avere un “alleato”: il nuovo ministro della Difesa ucraino Rustem Umerov. Tataro di Crimea, il successore di Oleksyi Reznikov ha avuto modo di stringere buoni rapporti con Erdogan. E un collegamento con il ministro del Paese invaso può essere fondamentale nei piani di Ankara.