Lo show dei terroristi che a Gaza liberano gli ostaggi contiene una serie di messaggi diretti a target diversi, e dimostra la meticolosità della strategia di comunicazione che ha caratterizzato tutta la guerra e influenzato l’Occidente. Il primo e il più evidente dei messaggi è ai propri sostenitori: “Ci siamo, siamo numerosi e questo momento segna la nostra vittoria”. È un messaggio per galvanizzare non solo gli abitanti di Gaza, ma anche le folle che in Occidente hanno invaso le piazze urlando slogan all’apparenza per il popolo palestinese, ma in verità pro-Hamas. E nessuno si domanda da dove saltano fuori le bandiere lunghe decine di metri, il cartello del retropalco e tutte le attrezzature per lo show. Probabilmente nascoste nei camion umanitari.

L’Occidente dimentica il prezzo dello scambio

È un messaggio anche agli altri palestinesi dell’area: “Abbiamo lottato, abbiamo vinto e se oggi vengono scarcerati i vostri cari, lo dovete a noi”. E l’Occidente troppo spesso dimentica il prezzo che Israele ha accettato per lo scambio. Troppo spesso dimentica che da una parte si liberano ostaggi, dall’altro si scarcera un gran numero di detenuti pluriomicidi, che si sono macchiati di attentati ai danni di civili, bambini, donne, famiglie. E troppo spesso i media occidentali – per raccontare questo scambio – si piegano, più o meno inconsapevolmente, al linguaggio del racconto di Hamas: “Ostaggi contro ostaggi”, “Prigionieri contro prigionieri”.

Lo show

Lo show che abbiamo visto è un messaggio al mondo, per “normalizzare” la loro condizione di terroristi. Per normalizzare la politica jihadista. Per un anno e mezzo è stato raccontato che vivevano nascosti nei tunnel, che si nascondevano in mezzo ai civili. Vigliacchi, vili. Oggi si presentano al mondo con le divise nuove, le armi e le auto lucidate. Salgono su un palco con slogan vittoriosi, hanno il servizio stampa, i videomaker, la regia dello spettacolo, la musica. E nessuno si domanda chi sono questi “giornalisti” che lavorano per loro, mascherati come loro? Inscenano una cerimonia con palco, scrivania, firme, timbri, quasi come fosse l’ufficio di un ministero, di una frontiera, una cancelleria di un Tribunale. Tanto da indurre un commentatore Rai a dire “il funzionario di Hamas”. Un terrorista in divisa, con il volto coperto, con la fascia dei terroristi, sta per rilasciare una ragazza ostaggio di 19 anni tenuta in cattività per un anno e mezzo, ma il commentatore lo chiama “funzionario”. Ecco, questa parola fa capire quanto la loro messa in scena mediatica possa permeare la narrativa di un evento che dovrebbe invece essere visto e commentato per quello che è. Uno show dell’orrore, fatto in una Gaza distrutta a seguito di una guerra dichiarata dai terroristi.

I vicini di Israele

Uno show per raccontare una storia falsa. Per raccontare una vittoria inesistente. Per rafforzare la loro presa sulla mente degli utili idioti in Occidente e sulle nuove leve da reclutare a Gaza. Non a caso si sono filmati e fotografati con i bambini con i mitra in mano. A chi dice che la Gaza post-guerra non dovrà vedere la loro presenza, rispondono smuovendo folle osannanti. Quello che dovrebbe far pensare è: che tipo di “vicini” si troverà Israele? Quante possibilità ci sono che queste masse vogliano vivere in pace? Il messaggio che arriva oggi non è incoraggiante.

Costanza Esclapon

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