La strage di Gaza è l’ultima tragica conferma: la situazione umanitaria nella Striscia si fa sempre più difficile. Ieri, una folla di palestinesi è rimasta uccisa mentre ha preso d’assalto decine di camion carichi di aiuti. Le forze armate israeliane hanno comunicato che i soldati hanno sparato in aria dei colpi d’avvertimento, ma anche proiettili contro chi si stavano dirigendo i camion o era ormai troppo vicino ai mezzi delle Israel defense forces. Da quel momento, da quando sono stati avvertiti i colpi delle Idf, è iniziato l’inferno.
Più di cento vittime
Per Israele, i morti per arma da fuoco sono stati circa dieci. Le altre decine di vittime (secondo le autorità della Striscia sono più di cento) sarebbero invece rimaste travolte dai camion o dalle persone in fuga. Una versione confermata anche da alcuni testimoni oculari e da un giornalista palestinese che ha parlato alla Cnn, Kahdeer al Zàanoun, che ha detto che “la maggior parte dei morti sono stati travolti dai camion durante il caos e mentre cercavano di scappare dal fuoco israeliano”. Il massacro ha fatto scattare le indagini interne alle forze armate, ma anche l’ennesima presa di posizione della comunità internazionale, a partire dagli Stati Uniti. Il presidente Joe Biden ha detto di non avere risposte riguardo alla strage (per il portale Axios l’amministrazione Usa ha chiesto spiegazioni al governo israeliano) ma ha ammesso che la tragedia può avere ripercussioni negative sui negoziati in corso. “La speranza è l’ultima a morire, sono stato al telefono con persone nella regione, probabilmente non lunedì, ma ho speranza”, ha continuato il capo della Casa Bianca.
Pressione elevata
Una dichiarazione che, se da un lato mostra la volontà di proseguire l’impegno nel raggiungere un accordo, dall’altro lato certifica che quell’auspicio di arrivare entro il fine settimana a un’intesa sia ormai da considerare più che remoto. Mentre Izzat al-Rishq, uno dei dirigenti di Hamas, ha detto ad Al Jazeera che il suo gruppo non lascerà che le trattative “attraverso cui cerchiamo di porre fine alle sofferenze umane del nostro popolo, causate dall’occupazione, diventino una copertura per i crimini del nemico contro il nostro popolo nella Striscia di Gaza”. Per il governo di Benjamin Netanyahu, la pressione a questo punto diventa sempre più elevata. Ieri, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, il generale Lloyd Austin, in un’audizione alla Camera ha detto che i morti civili nella Striscia, tra cui donne e bambini, sono circa 25mila. Un numero estremamente alto, abbastanza in linea con quanto affermato anche dalle stesse autorità locali, e che indica che anche da parte del Pentagono vi è la volontà di porre l’accento sugli effetti dell’azione militare israeliana scattata dopo la strage del 7 ottobre. Ma l’esecutivo di Bibi non sembra al momento intenzionato a fare marcia indietro.
L’allarme sul Libano
Il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha confermato proprio ieri che le truppe sono pronte ad avanzare verso Rafah, città dove sono rifugiati più di un milione di palestinesi provenienti dalle altre aree della Striscia. “Ci stiamo avvicinando ad Hamas. Ci stiamo preparando ad agire a Rafah, così come nelle zone centrali, per raggiungere la fase successiva che decideremo in base alle nostre priorità”, ha detto il ministro, “utilizziamo le informazioni che abbiamo recuperato dagli archivi di Hamas. Ci sono enormi quantità di informazioni che abbiamo raccolto nei luoghi che abbiamo raggiunto, computer, dischi rigidi, server e altro. Tutte queste informazioni vengono decodificate, utilizzate per distruggere i tunnel e i centri nevralgici di Hamas”, ha dichiarato Gallant secondo il Times of Israel. E mentre gli occhi dello Stato ebraico si rivolgono all’ultima città a sud della Striscia, gli Usa lanciano l’allarme anche sul Libano. Il timore di Washington è che Israele possa dare il via a un’operazione militare su vasta scala contro Hezbollah entro la tarda primavera o l’inizio dell’estate. Uno scenario che preoccupa gli Usa ma soprattutto Beirut.