Il primo luglio del 1994 arrivai a Gaza come inviato del quotidiano La Stampa insieme a centinaia di giornalisti di tutto il mondo per coprire un evento insperato: la consegna formale trasmessa in mondovisione della Striscia di Gaza amministrata dagli israeliani a Yasser Arafat, Presidente dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina. Ad accogliere Arafat era il primo ministro israeliano Ytzhak Rabin. Di quel lontano giorno di luglio non si parla più, mentre si parla oggi soltanto del 2005, anno in cui in cui il personale di sicurezza israeliano fu ritirato come prescrivevano gli accordi di Oslo dell’anno precedente.
Nel 1994 il Premier israeliano Rabin aveva consegnato ad Arafat l’amministrazione civile di Gaza e per questo tradimento Ytzhak Rabin fu assassinato il 4 novembre del 1995 da un nazionalista israeliano, per il suo tradimento. Probabilmente la stessa sorte toccò all’altro firmatario, Yasser Arafat che mi confidò con angoscia la sua certezza di essere stato avvelenato a Roma, ai primi di novembre del 2004 all’Hotel Excelsior in via Veneto, prima che partisse per morire a Parigi.

Il primo luglio del 1994 fui dunque incaricato da Gad Lerner (allora vicedirettore de La Stampa) di correre a Gaza per raccontare la straordinaria nascita del primo nucleo dello Stato palestinese che poi Arafat rifiutò di condurre in porto perché era in conflitto con Hamas. Rabin e Arafat si dettero la mano promettendosi pace. La Striscia di Gaza era piena di ristoranti e serre tecnologiche da cui si producevano fiori e primizie di alto valore commerciale, donate dagli israeliani ai palestinesi come fonte di ricchezza attiva. I cinquemila israeliani che abitavano a Gaza furono costretti ad andarsene anche con la forza dopo aver vissuto in quel lembo dell’antico Regno di Giuda dal 1967 quando la striscia egiziana fu conquistata al termine della guerra dei Sei Giorni
Quel che accadde in quel primo giorno di luglio del 1994 viene oggi curiosamente omesso, datando il passaggio dei poteri da Israele ai palestinesi a Gaza soltanto dal 2005 quando cioè gli israeliani smobilitarono gli ultimi posti di frontiera. Già allora, nella Striscia iniziava la sanguinaria presa di potere di Hamas, sezione locale della Fratellanza Musulmana che conta più di 80 milioni di aderenti al mondo e il cui programma era semplice: liquidare fisicamente i palestinesi dell’Olp di Arafat e occupare ogni carica pubblica instaurando una dittatura militare e religiosa.
Arafat era morto nel novembre del 2004 e sono stato l’ultimo giornalista che lo intervistò.

Fu all’hotel Excelsior di Roma ai primi di novembre del 2004 e non si trattò di un’intervista normale, perché Arafat disperato e malato mi supplicava di non andare via, seguitando a trasmettermi la sua angoscia perché, mi disse, sapeva che lo stavano avvelenando, ma nessuno voleva credergli.
Passai l’intera nottata con lui e con le sue guardie del corpo fino all’alba quando il leader palestinese finalmente si addormentò e potei lasciare l’albergo romano. Il giorno successivo Arafat fu ricoverato d’urgenza in un ospedale militare di Parigi e poi al Percy di Clamart, dove morì l’undici dello stesso mese. Sua moglie sostenne che Yasser fu avvelenato con l’isotopo del Polonio (usato dai servizi segreti russi) immesso nel dentifricio e nel sapone.

Nel 2007 Hamas completò l’eliminazione totale dell’Olp e prese il potere con elezioni truccate, fucilando in mezzo alla strada con un colpo alla nuca gli oppositori.
Hamas fece bruciare tutte le serre e cominciò a bombardare ogni giorno Israele dalle basi della rete di tunnel scavati usando i contributi dell’Onu e dell’Unione Europea per il popolo palestinese. Hamas aveva vinto le elezioni del 2007 con un programma di un solo punto: “No allo Stato palestinese, sì all’eliminazione dello Stato ebraico”. Lo slogan scandito in tutto il mondo suona così: “From the River to the see, Palestina will be free”: dal Giordano fino al mare, sarà tutta Palestina, senza Israele. Poi venne il 7 ottobre del 2023.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.