Ostaggi uccisi? Proiettili nei corpi
Gaza, l’ennesimo flop dei negoziati: Hamas cambia le carte, Netanyahu rischia crisi governo
Le trattative sono in salita. Anzi, secondo le fonti vicine al negoziato tra Hamas e Israele, tutto lascia credere che le speranze di un accordo siano ormai flebili. Appese a un filo che passa per il round di colloqui al Cairo. Egitto, Qatar e Stati Uniti – i mediatori di questo difficile rebus diplomatico – le stanno provando tutte. L’amministrazione Biden, consapevole dei pericoli di un’escalation regionale in caso di attacco iraniano e sotto pressione dei democratici critica sull’alleanza militare con Israele, ha attivato tutta la sua rete diplomatica. Ma l’ultimo tour di Antony Blinken in Medio Oriente non sembra avere ottenuto i risultati sperati e tutto rimane fermo, con i negoziati che stentano a decollare.
Il presidente Joe Biden, in un ultimo tentativo, mercoledì ha telefonato direttamente a Benjamin Netanyahu. Una conversazione in cui il capo della Casa Bianca ha ribadito l’impegno Usa nella difesa di Israele, ma anche la necessità di giungere il prima possibile a una tregua nella Striscia di Gaza e a un accordo sulla liberazione degli ostaggi. Ma se il Washington Post (poi smentito dall’ufficio del primo ministro israeliano) ha rivelato che Bibi starebbe effettivamente pensando a delle concessioni sul negoziato per mostrare la propria buona volontà ai mediatori, uno dei nodi irrisolti – quello più complicato da sciogliere – resta il Corridoio di Filadelfia. Quella lingua di terra tra Egitto e Striscia di Gaza in cui Hamas non vuole alcuna presenza delle forze armate israeliane e su cui Netanyahu invece vorrebbe mantenere il controllo.
Lo scontro tra l’Idf e il governo israeliano
Un tema che, secondo il Wall Street Journal, vede una divergenza (l’ennesima) tra Difesa e capo del governo. Per i militari, la presenza fisica delle Israel defense forces non sarebbe indispensabile, poiché basterebbero dei sistemi di sorveglianza e sensori in grado di captare ogni movimento sospetto tra Egitto ed exclave palestinese. Ma Netanyahu non appare troppo convinto di questa scelta, pressato anche dagli alleati di ultradestra. Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, i due ministri-falchi del governo, non hanno mai sostenuto la linea del negoziato. E, in caso di concessioni sul controllo di questa striscia di terra, il rischio di una crisi di governo si farebbe molto alto.
L’ipotesi Onu a presidio dei corridoi
La questione, del resto, non è secondaria. L’Idf, che in queste ore ha continuato le sue attività nella Striscia di Gaza con operazioni nel quartiere di Tel Sultan di Rafah, a Khan Younis, nel nord della regione e alla periferia di Deir al-Balah, ha individuato e distrutto molti tunnel che passano sotto quel corridoio. Per Hamas è l’unica porta verso l’esterno, e l’Intelligence israeliana è convinta che attraverso quelle gallerie i miliziani si siano riforniti di tutto il materiale necessario per costruire il proprio arsenale. Gli Stati Uniti, per trovare una quadra a questo rompicapo (convincere Netanyahu, far desistere Hamas e rassicurare il Cairo sulla presenza israeliana), hanno proposto anche una forza multinazionale lungo il confine. Secondo il quotidiano libanese Al-Akhbar, la formula proposta dai mediatori è quella di contingenti di vari paesi sotto l’egida delle Nazioni Unite che controllerebbero sia il Corridoio di Filadelfia che il corridoio di Netzarim, quello che divide la Striscia di Gaza a metà. E per le fonti del media libanese, anche gli Emirati Arabi Uniti potrebbero far parte di questa forza. L’idea, però, non sembra fare breccia. E se Netanyahu ha dei dubbi, Yahya Sinwar, leader di Hamas nascosto nei tunnel, avrebbe già detto di no. Con il rischio di un naufragio dei negoziati e mentre Israele attende di conoscere il destino degli ultimi ostaggi ancora in vita.
Ostaggi uccisi? Proiettili nei corpi
Ieri l’Idf ha comunicato ai parenti dei rapiti trovati morti in questi giorni che nei corpi sono stati rinvenuti dei proiettili. Una scoperta che potrebbe essere la prova di esecuzioni da parte dei sequestratori, anche se al momento da Israele non sono giunte indicazioni nette su cosa sia accaduto alle vittime. Per Asharq al-Awsat, quotidiano saudita (con sede a Londra), sette ostaggi sarebbero invece nelle mani non di Hamas ma del Jihad islamico palestinese, l’altra fazione che combatte nella Striscia di Gaza. E su quanti siano vivi, rimane ancora un’inquietante e tragica ombra di mistero.
La speranza di un accordo è appesa dunque a un filo sempre più sottile. Mentre sullo sfondo delle trattative l’Iran aspetta di capire come e quando mettere in atto la propria vendetta per l’omicidio a Teheran del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh. La Missione permanente della Repubblica islamica presso l’Onu ha detto che “i tempi della risposta dell’Iran saranno meticolosamente orchestrati per garantire che avvenga nel momento di massima sorpresa”. E mentre gli Usa hanno fatto arrivare in Medio Oriente la portaerei Uss Abraham Lincoln, per molti osservatori Teheran potrebbe lanciare la sua rappresaglia attivando Hezbollah, la milizia del Libano che aspetta di capire come vendicarsi senza scatenare una guerra aperta con Israele.
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