Con una presidenza agli sgoccioli e con una campagna elettorale in cui anche la politica estera ha un peso potenzialmente decisivo in alcuni Stati-chiave, Joe Biden ha deciso di provare il tutto per tutto per un accordo in Medio Oriente. In questi giorni tra Israele, Libano ed Egitto sono attesi o sono già operativi tutti i pesi massimi della diplomazia Usa nella regione.

Il direttore della Cia, William Burns, è pronto a sbarcare al Cairo per discutere del negoziato tra Hamas e Stato ebraico per la tregua a Gaza e la liberazione degli ostaggi israeliani imprigionati nella Striscia. Nella regione, come ha rivelato il giornale Barak Ravid di Axios, sono previsti anche diversi incontri tra il generale Erik Kurilla, il capo di Centcom (il comando centrale Usa per il Medio Oriente), e i funzionari israeliani e di altri partner arabi. Mentre in direzione di Beirut (e poi di Gerusalemme) sono stati inviati Brett McGurk e Amos Hochstein, i protagonisti delle trattative per un eventuale accordo che ponga fine alla guerra tra Idf ed Hezbollah.

Convincere gli indecisi

Biden vuole arrivare al voto con una nuova leva per convincere gli indecisi, togliendo a Donald Trump l’arma elettorale delle “guerre infinite” e mostrando all’ala radicale e all’elettorato arabo e musulmano di non essere legato alle decisioni di Benjamin Netanyahu. Ma per Washington c’è un’esigenza anche strategica che va al di là del voto per la Casa Bianca. Gli Stati Uniti non possono permettersi di rimanere concentrati su troppi fronti, specialmente perché l’impegno militare a difesa dello Stato ebraico distoglie truppe e mezzi, drena un fiume di soldi e di armi. E gli strateghi Usa da tempo sottolineano che lo sforzo industriale e bellico rischia di essere eccessivo mentre si è coinvolti nel sostegno all’Ucraina e nel frenare le ambizioni cinesi nell’Indo-Pacifico.

L’accordo

Il fronte da dove potrebbe arrivare un primo segnale di svolta è quello libanese. Ieri – per la prima volta dopo la sua elezione a segretario generale di Hezbollah – ha parlato Naim Qassem, il quale ha detto che il Partito di Dio sarebbe disponibile a un accordo. “Fino ad ora non è stata discussa alcuna proposta accettabile per Israele e adatta a noi“, ha detto il nuovo leader, che ha garantito che i suoi miliziani continueranno a combattere “e non imploreremo un cessate il fuoco”. Allo stesso tempo però tra minacce a Netanyahu, avvertimenti a Israele e richieste non solo all’Iran ma anche ai paesi arabi, Qassem ha inviato segnali da non sottovalutare. Il primo, che “la posizione di Hezbollah sui negoziati per il cessate il fuoco è in linea con quella di Nabih Berri”, il presidente del Parlamento libanese proveniente dall’altro movimento sciita, Amal, e riconosciuto come interlocutorie da tutta la comunità internazionale. Il secondo elemento che “le elezioni americane saranno un punto di svolta nella guerra”. A conferma che il voto in Usa è realmente fondamentale per comprendere le dinamiche del conflitto israeliano e anche le possibili soluzioni diplomatiche sui vari fronti.

Secondo le indiscrezioni di media israeliani, l’accordo per la tregua in Libano avrebbe una forma più definita rispetto a quello che riguarderebbe la Striscia di Gaza (dove si parla di un mese di tregua e tra gli 11 e i 14 ostaggi liberati). La proposta sul tavolo prevede un primo periodo di cessate il fuoco di un mese (o di 60 giorni) per poi implementare la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, schierare l’esercito libanese nel sud e disarmare Hezbollah. Il tutto con la precisazione che l’Idf sarebbe autorizzata a intervenire in caso di violazioni dell’accordo di pace. Al momento – come ha rivelato l’emittente Channel 12 – Netanyahu sembra essersi convinto di fermare le ostilità a nord, perché anche i comandi di Tsahal ritengono ampiamente raggiunti gli obiettivi dell’invasione dei raid aerei.

Con Hezbollah decapitato dei vertici e con la maggior parte dei suoi arsenali distrutti (questo almeno è quello che ha dichiarato in questi giorni il ministro della Difesa, Yoav Gallant), Israele potrebbe ritenere che questo sia il momento più opportuno per fermare le armi. E anche il ministro dell’Energia Eli Cohen ha detto che ora Israele può trattare “da una posizione di forza”. Dall’Iran sembra arrivato il via libera affinché Hezbollah tratti la pace sganciandosi da Gaza. Ma molti osservatori temono che la trattativa possa durare molto. E non tutti credono che il Partito di Dio darà effettivamente il via libera a una tregua separata da quella di Hamas nella Striscia.