Alla fine, Joe Biden ha deciso. Nel discorso sullo stato dell’Unione, il presidente degli Stati Uniti ha dato il via al piano per portare via mare gli aiuti nella Striscia di Gaza. Un progetto su cui Washington era a lavoro da tempo, complici le difficoltà che si sono manifestate nel fare arrivare i beni di prima necessità nell’exclave palestinese. Da diverse settimane si segnalano problemi nell’accesso degli aiuti e blocchi per i camion. E la strage di palestinesi vicino Gaza dopo l’assalto ai tir è stato l’ultimo e più drammatico campanello d’allarme. Diversi Stati, tra cui Usa, Francia e Giordania, hanno iniziato a lanciare aiuti dal cielo.

Ma prima gli esperti e poi gli stessi leader hanno fatto capire che questa non poteva essere la soluzione. Gli aerei militari utilizzati per questo tipo di operazioni costano molto e trasportano una quantità insufficiente a garantire lo stesso volume di aiuti caricato sui convogli di camion. Inoltre, i lanci con il paracadute di questi materiali sono a rischio sia per quanto riguarda le zone in cui atterranno (alcuni di essi, per essere più lontani dai campi di battaglia, sono caduti addirittura in mare), sia per l’assenza di controllo sulla distribuzione, sia per eventuali e tragiche fatalità che possono accadere nei lanci. Come è successo ieri, quando le fonti locali hanno affermato che cinque persone sono rimaste uccise nel campo di al Shaty, vicino la città di Gaza, perché colpiti da alcuni pacchi lanciati dagli aerei. Per questi motivi, e per fare arrivare una maggiore quantità di aiuti in attesa che si sblocchi la situazione ai valichi di frontiera, gli Usa hanno rimesso mano al progetto del corridoio umanitario via mare. Un piano che vede come hub l’isola di Cipro e che, pur rischiando di partire tra alcune settimane, è una boccata d’ossigeno per una popolazione sempre più in preda dalla disperazione.

“La situazione umanitaria a Gaza è terribile, con famiglie palestinesi innocenti e bambini alla disperata ricerca di beni di prima necessità. Ecco perché oggi la Commissione Europea, la Germania, la Grecia, l’Italia, i Paesi Bassi, la Repubblica di Cipro, gli Emirati Arabi Uniti, il Regno Unito, e gli Stati Uniti hanno annunciato l’intenzione di aprire un corridoio marittimo per l’assistenza umanitaria via mare”, ha dichiarato ieri la Casa Bianca. “Continueremo a lavorare con Israele per espandere le consegne via terra”, scrive la nota congiunta. Ma ora l’attenzione è rivolta al fronte marittimo. La sfida non è semplice. Bisogna realizzare basi e moli, proteggere gli aiuti e garantirne la distribuzione ai civili. Ed è anche per questo che solo lo sblocco degli aiuti via terra riuscirebbe ad alleviare la carenza di beni di prima necessità. Ma in attesa che si giunga a una soluzione per i valichi con Israele, Biden inviato un segnale sia per il governo israeliano (“L’unica soluzione è la soluzione con due Stati”, ha ribadito inoltre al Congresso) sia per la propria opinione pubblica.

Molti democratici criticano il sostegno militare allo Stato ebraico, e possono avere un peso rilevante in una corsa per la Casa Bianca che si preannuncia complicata per l’attuale presidente. Dall’Unione europea, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen si è detta sicura che il corridoio sarebbe partito tra oggi e domani, annunciando anche la partenza della prima nave “pilota” per capire come concretizzare questo progetto. Il corridoio marittimo piace anche a Israele, che ieri, attraverso una nota del portavoce del ministero degli Esteri, Lior Haiat, ha fatto sapere: “Israele accoglie con favore l’apertura del corridoio marittimo da Cipro alla Striscia di Gaza”, che realizzerà “l’aumento degli aiuti umanitari alla Striscia di Gaza, dopo controlli di sicurezza secondo gli standard israeliani”. Lo Stato ebraico, prosegue la nota diffusa attraverso i social, “continuerà a facilitare il trasferimento di aiuti umanitari agli abitanti della Striscia di Gaza nel rispetto delle leggi di guerra e in coordinamento con gli Stati Uniti e i nostri alleati nel mondo”. Ma allo stesso tempo, ha precisato il portavoce, il Paese continuerà a “combattere contro Hamas, un’organizzazione che chiede la distruzione dello Stato di Israele e ha sferrato il massacro del 7 ottobre, fino alla sua eliminazione e al ritorno di tutti gli ostaggi”.

Il governo di Benjamin Netanyahu lancia quindi un messaggio a sostegno del corridoio marittimo per mostrare anche apertura nei confronti di un tema particolarmente sentito dalla comunità internazionale come gli aiuti umanitari. Ma per quanto riguarda la guerra ad Hamas, Israele non sembra intenzionato a modificare in modo sensibile i propri piani. E questo è stato confermato anche con i negoziati fermi e l’avvicinamento del Ramadan, appuntamento che crea particolare apprensione per gli apparati di sicurezza israeliani e l’intelligence statunitense. Dopo lo stop alle trattative al Cairo, in Egitto, la delegazione di Hamas è tornata a Doha, dove Al Jazeera ha detto che è arrivato anche il direttore della Cia, William Burns. Alla stessa emittente, Mohamed Nazzal, membro dell’ufficio politico di Hamas, ha detto che “il fallimento dei negoziati al Cairo non significa necessariamente la fine delle trattative”. Ma sembra comunque difficile credere che si raggiunga un’intesa nei prossimi giorni. Soprattutto se l’organizzazione palestinese ribadisce di volere un cessate il fuoco definitivo e il ritiro completo delle truppe israeliane dalla Striscia di Gaza. La guerra quindi continua, in attesa di capire il destino della città di Rafah, su cui si attende l’offensiva terrestre delle Israel defense forces. E mentre si cerca di capire come liberare il maggior numero di ostaggi, le Nazioni Unite si muovono sul fronte delle violenze sessuali compiute nell’attacco del 7 ottobre. Francia, Regno Unito e Usa hanno chiesto una riunione del Consiglio di Sicurezza per parlare dei crimini sessuali compiuti da Hamas durante l’assalto al sud di Israele. La discussione potrebbe esserci lunedì.