Gender Gap, servono 67 anni per azzerarlo. E un aiuto alle donne arriva dalle nuove tecnologie

La società chiede a ogni donna con figli di lavorare come se non li avesse, ma al tempo stesso pretende anche che sia madre come se non lavorasse. Ancora, nell’anno di grazia 2024, i progressi compiuti dalle donne – sul posto di lavoro, in famiglia, nella società, in economia – disegnano un percorso pieno di “come se” e povero di conquiste reali. Questo avviene da sempre, nonostante l’articolo 37 della Costituzione italiana dica che “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e retribuzioni dell’uomo. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della funzione familiare e assicurare protezione a madre e bambino”.

Nel resto del mondo non va meglio: secondo una ricerca del Pew Research Center, le donne americane guadagnano mediamente 82 centesimi per ogni dollaro guadagnato dagli uomini. Poco più degli 80 centesimi che guadagnavano 20 anni fa, denuncia il think-tank. Nell’Unione europea le donne, da un decennio a questa parte, guadagnano in media il 13% in meno rispetto ai colleghi uomini. In Italia il gender pay gap è stimato al 15,5% nel settore privato. E dato che cresce con il tempo e la carriera, la differenza all’ingresso nel mondo del lavoro è dell’8,2% ma sale al 24,4% per chi ha più di cinquant’anni. Su come colmare il divario retributivo, gli analisti sono certi che siano necessari cambiamenti strutturali introdotti dai governi: insomma, nuove regole che introducano più servizi di assistenza all’infanzia e alle famiglie e una legislazione che imponga la parità di retribuzione.

C’è dell’altro, purtroppo, e ha a che fare con le disparità di carriera e la tendenza a giudicare le donne leader in modo diverso dagli uomini. La società di consulenza McKinsey, in un altro studio del 2022, ha acceso i riflettori sul turnover tra le donne dirigenti: al massimo storico. La metà delle donne senior che ha cambiato posizione, lo ha fatto perché riteneva che fosse più facile progredire nella propria carriera lasciando il proprio posto piuttosto che impegnandosi a scalare i vertici dell’azienda presso cui già lavorava. Secondo il Global Institute for Women’s Leadership del King’s College di Londra, a differenza degli uomini che ricoprono direttamente il ruolo di presidente, le donne che arrivano alla guida di una società – in gran parte – hanno già ricoperto altri ruoli direttivi. Questo perché gli uomini sono giudicati in base al loro potenziale e le donne in base all’esperienza.

C’è un’altra cosa assolutamente democratica e sono le nuove tecnologie che stanno rimodellando il modo in cui lavoriamo tutti, sostituendo posti di lavoro e cambiando le competenze ricercate dalle risorse umane. In un certo senso le donne rischiano di perderci, perché sono sottorappresentate in campi emergenti come l’Intelligenza Artificiale. Ma c’è – come al solito – anche l’altra faccia della medaglia: le donne hanno anche da guadagnare dalle tecnologie emergenti. Un report di LinkedIn, “Skills First”, assicura che un approccio all’assunzione da parte delle aziende che anteponga le competenze alle qualifiche educative farebbe aumentare il bacino di potenziali assunzioni femminili di otto volte nei lavori dominati dagli uomini.

Come scrivono Giovanna Badalassi e Federica Gentile nel saggio appena pubblicato, “Signora economia. Guida femminista al capitale delle donne” – edito da Le plurali – “ogni innovazione tecnologica ha sempre prodotto una corrispondente innovazione sociale, anche di genere, ma pur sempre al prezzo di un’iniziale esclusione delle fasce di popolazione più vulnerabili”. La speranza è che, argomentano le autrici, “l’IA favorisca una maggiore produttività e ci lasci più tempo da dedicare ad altro e che, se correttamente istruita, contribuisca a contrastare alcuni stereotipi di genere”. A partire dai suoi team di sviluppo: le donne nel mondo sono, infatti, appena “il 12% di tutte le persone impegnate nella ricerca in questo settore e solo il 6% di coloro che sviluppano software”.

Un altro aspetto che il libro indaga riguarda l’impatto sul lavoro di cura: si stima infatti che “il 39% del tempo dedicato al lavoro familiare nei prossimi dieci anni potrebbe essere automatizzato, variando a seconda dell’attività considerata”. Accende una speranza, in questo senso, il programma di ricerca Managing the Future of Work della Harvard Business School, secondo cui un lavoro più flessibile, da remoto e part-time porterà a innovazioni che consentiranno alle donne non di “avere tutto”, ma di “avere di più” consentendo la produttività da lontano.

Secondo l’ultima edizione del Global Gender Gap Index (l’indice più longevo che annualmente monitora l’andamento della parità di genere attraverso quattro dimensioni chiave: partecipazione economica e opportunità, livello di istruzione, salute e sopravvivenza ed emancipazione politica) in base all’attuale ritmo di progresso si prevede che l’Europa raggiunga la parità di genere in 67 anni. Aumentare la partecipazione economica delle donne e raggiungere la parità di genere nella leadership, sia nelle attività economiche che nell’amministrazione, sono due leve chiave per affrontare divari di genere più ampi nelle famiglie, nella società e nelle economie.