Dal 1 luglio su Netflix in streaming la prima “vera” serie TV targata The Jackal, “Generazione 56k“. Questo è il titolo scelto e la prima stagione è composta da 8 episodi di circa 30 minuti ciascuno. La serie è un racconto ed uno spaccato della Napoli e di Procida di fine anni ’90 con l’avvento di Internet dove si intrecciano su una linea temporale parallela la crescita di un gruppo di adolescenti fino ai giorni d’oggi con la maturità o la pseudo maturità di ultratrentenni.
Generazione 56k è una serie sentimentale, è una storia d’amore che valica il confine del tempo. Dall’adolescenza fino ai giorni d’oggi in una Napoli e una Procida che cambia con il cambiare delle tecnologie. Dai messaggi nelle bottiglie a Whatsapp per arrivare ad unire le cose in una APP per smartphone romantica. Il montaggio alterna costantemente le due linee temporali in questo modo il regista fa percepire allo spettatore che nonostante i cambiamenti siano stati epocali questo non ha mai messo in discussione i sentimenti e l’amore che restano immutabili nonostante tutto.
Ma era proprio così la Napoli del 1998 raccontata dai The Jackal? Direi proprio di no, anzi era molto più avanti tecnologicamente rispetto al racconto dei The Jackal. Non solo Napoli, ma l’Italia di quegli anni viveva in pieno il boom di internet, già esistevano e spopolavano i siti di incontri e il canale #napoli di IRC era popolatissimo. Piazza Bellini era il punto di ritrovo dei cybernaviganti dove amori di chat nascevano.
Nella serie l’icona di quegli anni sembrerebbe essere il floppy disk, i vhs, il walkman e tutti gli stereotipi degli anni tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 ma temporalmente viene invece collocata in prossimità degli anni 2000. Questa discrasia fa storcere un po’ il naso durante tutta la serie soprattutto al pubblico della vera Generazione 56k. Nel 1998 a Napoli i CD erano già diffusissimi e il traffico dei videogame e porno pirata era alla portata di tutti con un masterizzatore.
La serie presenta tantissime anomalie storico-culturali nella linea temporale del 1998. Ad esempio il pc che utilizza il papà del protagonista sembrerebbe essere un vecchissimo 286 o forse anche un 486, ma in quegli anni già erano diffusissimi i pentium e il sistema operativo Windows 98 la faceva da padrone. Le scene di navigazione sono poi completamente fuori dalla storia e sembrano uscire da War Games e dal periodo pre-internet delle BBS.
Se da un lato questa ambientazione errata farà storcere il naso a chi davvero c’era nel 1998 e a tutti i NERD bisogna anche dire che il racconto scivola velocemente ed appassiona la storia d’amore che è fulcro principale della serie. Le citazioni sono molteplici e le influenze di un certo tipo di cinema italiano sono palesi. Molte situazioni ci riportano alla mente il primissimo Muccino con “Come te nessuno mai” del 1999 (stesso anno del racconto dei The Jackal ma spaccato italiano completamente diverso) o “Cosmonauta” di Susanna Nicchiarelli del 2009 in cui le scene dei ragazzi sul tetto a contemplare il cielo sembra essere più una mera copia che una vera citazione.
In tutta la serie c’è questo strano modo di fare citazioni che spesso si traduce in un mero collage di scene già viste. L’idea dei tre ragazzi amici da bambini e il ricorso alla linea temporale sovrapposta sembrerebbe essere una palese citazione al cinema di Vincenzo Salemme (almeno il primo) poi invece si ha la percezione che non c’era intenzione di citare ma solo di “prendere” quel tipo di linguaggio e incollarlo.
Poi completamente senza senso la citazione di “Pensavo fosse amore e invece era un calesse” di Massimo Troisi sul matrimonio appare più un offesa che un quid in più al racconto, e anche qui sembra più un ricorso ad un collage del “Cult napoletano”. Sono ormai passati anni da quello che è stato il vero esordio dei The Jackal nel panorama partenopeo e nazionale con quello che resta a mio avviso il loro vero capolavoro per originalità, produzione e impegno nell’arte audio-visiva, la serie web “Lost in Google“.
La genialità di quel periodo storico purtroppo non si ritrova più e c’è in questa serie un appiattimento verso lo show business e la mera TV di intrattenimento anche a discapito di una analisi storico culturale che doveva essere invece alla base della creazione di una sceneggiatura cosi precisa nei dettagli. Della squadra The Jackal come attori nella serie ci sono solo Fabio Balsamo e Fru elementi che sono stati introdotti nel gruppo solo da qualche anno. Ciro Priello e Simone Rizzo non compaiono mentre la mano del Deus ex machina Francesco Ebbasta, il vero burattinaio dei The Jackal la si vede in ogni singola scena.
Nell’attesa della seconda stagione, perché le serie sono cosi rendono dipendenti anche su un prodotto che fa storcere un po’ il naso c’è da chiedersi cosa ne è stato dei rivoluzionari The Jackal e proprio come i protagonisti di Gerazione 56k mi viene da citare Antonello Venditti: “Compagno di scuola, compagno per niente ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?“.