L'intervista
Gennaro Migliore: “L’inverno sta arrivando, nuovi equilibri nel caos. L’Europa dovrebbe ripartire dall’Africa”
Gennaro Migliore, ex parlamentare e Presidente dell’Assemblea parlamentare del Mediterraneo, analizza per Il Riformista il momento di fortissima tensione internazionale in cui si svolgono le elezioni del futuro presidente Usa.
Mosca, che aveva stretto un patto con l’Iran e i suoi proxy, ieri ha formalizzato un accordo militare di ferro con la Corea del Nord, che fornirà alla guerra di Putin uomini e mezzi. Si concretizza l’asse del male?
«Chi ha visto Il trono di Spade ricorderà la frase simbolo: “L’inverno sta arrivando”. Ecco, è il caso di pronunciarla, oggi. Ci sono tutta una serie di condizioni che concorrono a prefigurare un inverno alle porte. Molti di instabilità, data l’idea di coltivare una serie di alleanze che dal punto di vista economico – come nel caso dei Brics – o dal punto di vista militare e strategico come nel caso dell’asse Russia-Iran-Corea del Nord vogliono far saltare l’attuale configurazione del mondo».
E la politica, la governance occidentale sta prendendo le contromisure?
«Non ne sono così sicuro, mi sembra anzi ci sia una percezione molto bassa di quello che potrebbe accadere da qui ai prossimi mesi. Le classi dirigenti occidentali, nel loro complesso, mi sembrano piuttosto in ritardo nella costruzione della consapevolezza necessaria. È un momento storico senza precedenti, l’asse del male si consolida e l’asse della democrazia è distratto. Davanti a una minaccia che diventa anche nucleare».
Nei Brics è difficile un accordo, è un coacervo difficile da uniformare…
«Sono un ibrido di grande interesse. Frequentati da ciascun paese per motivi diversi. Ma non sono certo l’asse del male: sono un’arena attiva con decine di grandi eventi l’anno, colpevolmente trascurati dall’attenzione dei media. Quello che è certo è che fotografano il declino della potenza economica, ma anche del fascino e del prestigio dell’Occidente e dei paesi democratici nel mondo. Abbiamo smesso di essere un modello».
L’Occidente è considerato avanzato sul piano dei diritti, arretrato su crescita e innovazione.
«E il punto però è che il mondo insegue – direi forsennatamente – gli indicatori di sviluppo economico più veloci. Date le performance della Cina, sembra che la produttività si sviluppi meglio lontano dal modello sociale dei diritti e delle libertà europee e occidentali».
La democrazia non interessa più molto, nel mondo?
«L’Italia, l’Europa e gli Stati Uniti sono amati per lo stile di vita, ma la democrazia non è più considerata un elemento rilevante per la possibilità di avere successo».
L’Occidente sta perdendo colpi? Rinuncia ad affermare le proprie ragioni, il suo valore…
«Sì, stiamo perdendo colpi perché le dinamiche della globalizzazione hanno esteso le opportunità per paesi che prima erano tagliati fuori dallo sviluppo capitalistico e dall’altro perché il nostro sistema regolatorio ci immette nella sfida globale con una certa farraginosità».
Cosa dovremmo fare per recuperare terreno?
«Trovare il nostro ruolo nelle sfide globali. Imparando a interagire meglio con altri, e penso all’Africa. Siamo un unico continente verticale, l’Eurafrica. Se smettessimo di considerarla una fonte di guai, capiremmo che da qui a cinquant’anni potrebbe rivelarsi per noi un tesoro. Più in generale, dobbiamo valutare un nuovo modello di relazioni internazionali. La crisi della globalizzazione mondializzata è sotto agli occhi di tutti. Le vecchie scelte, quelle che credevamo convenienti – il gas dalla Russia, i legami con la Cina – hanno rivelato la loro criticità, con il Covid e la guerra. Se cambiano così velocemente gli equilibri del mondo, ci dobbiamo adeguare e dobbiamo saper trovare nuove strategie altrettanto rapidamente».
E identificare meglio le nuove minacce…
«Guardi, questo è un tema centrale: la nozione di pericolo. In questo momento nelle società occidentali abbiamo – si vedano le elezioni americane, il dibattito in Italia, in Germania – un dibattito sul pericolo basato sulla prossimità, l’immediatezza. Si additano gli immigrati irregolari, quelli che stanno alla stazione… Poi però non si vedono le minacce vere. Quella climatica, che rappresenta il rischio più alto per tutti. E quella di cui ci stiamo occupando, l’asse del male. Che poi ha strettamente a che fare con la manipolazione dei dati, con la possibilità che potenze ostili si impossessino di informazioni chiave. Oggi i pericoli veri sono quelli. Mentre si continuano a fare campagne elettorali, e a vincerle, parlando di falsi problemi».
È preoccupato da quello che i giornali definiscono supermercato delle informazioni, la miriade di agenzie che rubano informazioni riservate e le rivendono a paesi ostili?
«Io penso che dovremmo ancora scavare molto per scoprire quanti sono stati i ricatti, quali sono stati i condizionamenti e quanto – in molti casi – è stato pagato per mettere a tacere. Parlo dei tanti ransomware, con i riscatti che vengono chiesti per restituire informazioni violate. Siamo sovraesposti e spesso muti: i russi sono maestri dell’hackeraggio, noi a questa guerra ibrida come intendiamo rispondere?»
Tra tre giorni avremo il nuovo presidente degli Stati Uniti. Cosa cambierà?
«Per alcuni aspetti poco: la competizione con la Cina rimarrà elevata. Per altri, moltissimo: le ultime dichiarazioni di Trump contro l’Europa sono parole di vendetta. Ha potuto godere in passato, e non sappiamo ancora se sta succedendo lo stesso, di appoggi di potenze internazionali. Quello che inciderà di più sul cambio di passo sarà la capacità di dare una risposta occidentale alle nuove sfide. Kamala Harris andrebbe in continuità con Obama e Biden. Con Trump prevarrebbe l’isolazionismo, un sostanziale favore alla crescita di altri poli nel mondo».
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