Poco dopo i massacri del 7 ottobre dell’anno scorso il vice Cancelliere tedesco, Robert Habeck, dichiarava che il diritto all’esistenza e alla sicurezza di Israele coincide con il diritto all’esistenza e alla sicurezza della Germania. Chissà se, mentre faceva quel discorso impegnativo, prevedeva che il proprio paese, solo qualche mese dopo, si sarebbe infilato in un ginepraio di ambiguità, smentite smozzicate e oblique ammissioni circa il proposito tedesco di tagliare le autorizzazioni alla fornitura di armi a Israele.
“Nessun boicottaggio”
Un’agenzia di stampa (Reuters) l’altro giorno dava per fatta la cosa, mentre una fonte governativa opponeva alla notizia la dichiarazione sibillina secondo cui non era in corso nessun “boicottaggio” nei confronti di Israele. Ma intanto si spiegava da parte di alcuni che l’atteggiamento recessivo della Germania trovava un riscontro di fatto in un calo delle forniture già registrato nei mesi scorsi: una scelta rafforzata dai timori del discredito e delle accuse di complicità di cui la Germania potrebbe essere destinataria se si aggravasse la posizione processuale dello Stato Ebraico sui diversi fronti giudiziari che lo vedono impegnato.
E così debbono essere lette le dichiarazioni del vice Cancelliere Habeck in versione 2024 e nello svanire del ricordo del Sabato Nero: a dieci mesi da quella sua rivendicazione delle ragioni di Israele (ragioni non ideali, ma di sicurezza, di vita), l’eloquio intransigente di quel difensore si sarebbe trasfigurato nel biascicamento avvocatesco che richiama le esigenze di monitoraggio sull’uso delle armi nel rispetto del diritto internazionale. Non sfuggirà a nessuno il valore maestosamente simbolico che può assumere in Germania e per la Germania una flessione dei rapporti con lo Stato Ebraico, vale a dire il paese del popolo sopravvissuto allo sterminio.
Il gioco dell’invasore
Se quei rapporti non implicano, ovviamente, che le scelte politiche israeliane debbano necessariamente e sempre essere condivise, dovrebbero tuttavia impedire l’accantonamento della realtà che gli eccidi del 7 ottobre rinfacciano al mondo distratto. E cioè che se quei macellai e i loro non isolati mandanti avessero mano libera, ebbene porterebbero a compimento il lavoro che aveva intrapreso la belva nazista. Un lavoro che non sarebbe cominciato se chi poteva impedirlo non avesse deciso di stare a guardare, confidando nella pace illusoria al prezzo di un paio di paesi da abbandonare al giogo dell’invasore. Un lavoro che non sarebbe stato interrotto se le forze del bene, a costo di spaventosi sacrifici, non si fossero coalizzate per tagliare la testa del mostro.
La ragioni di sicurezza e di vita di Israele – che sono le ragioni del mondo libero e democratico – non si difendono chiudendo gli occhi sulla realtà genocidiaria e tirannica che le vorrebbe distruggere, né chiudendo gli occhi su un’evidenza tanto spiacevole quanto ineluttabile: vale a dire che quelle ragioni si difendono anche con le armi. Altrimenti rimangono parole. E in tedesco suonano particolarmente male.