L’erba del giardino è alta, l’ultimo accesso su whatsapp alle 3.30 del mattino fra il 23 e il 24 giugno. Quel giorno, all’alba, più precisamente alle 5.51 del mattino, è stato registrato un passaggio della sua Maserati Levante dal portale di Manerba, in provincia di Brescia, e due minuti più tardi da quello di Desenzano. Di Giacomo Bozzoli si sono perse le tracce dopo nove anni di libertà in attesa di un giudizio definitivo. Quello arrivato lunedì scorso, quando lui è sparito, e proliferate le suggestioni sulla sua fuga.

Dov’è Giacomo Bozzoli

Un viaggio legittimato fino alla sentenza di Cassazione, visto che non aveva restrizioni di nessun genere. Ma diventato caso nazionale dopo la lettura della sentenza. Secondo il suocero potrebbe essere in Francia, altre ricostruzioni fatta agli inquirenti e diffuse dal Corriere della Sera, dicono che sia scappato su una Maserati. Potrebbe trovarsi in un Paese confinante con l’Italia, ma il passaporto è scaduto, e non è stato rinnovato, ma il dettaglio più interessante è sulla sua compagna: la fidanzata Antonella Colossi, l’erede della Colossi Arte Contemporanea, galleria d’arte nel centro della città di Brescia, che i suoi nonni fondarono negli anni ’70 e dove lei lavora insieme a suo padre. I due hanno un figlio di 9 anni che sarebbe con i genitori.

Segnalato, con mandati alle polizie agli aeroporti, alle ferrovie, agli alberghi, ai porti di tutta Europa e nei Paesi extra Shengen. La fonte riporta che ci sarebbero dei tentativi di contatto per convincerlo a rientrare, dopo alcune tracce di incontri e visite lasciate qua e là in giro: visite recenti alla scuola del figlio, ad una festa scolastica di fine anno, al ritiro della pagella. La sicurezza che mai sarebbe scappato dopo che dello zio ripeteva: “L’ho amato, mi ha insegnato il mestiere, non l’ho ucciso”. Eppure in rubrica era salvato come ‘merda’.

La ricostruzione

I fatti risalgono all’8 ottobre 2015 quando Giacomo litigò con zio Mario 52 anni, e lo uccise gettandolo nel forno della fonderia di famiglia, a Marcheno, vicino Brescia. Fu una fumata anomala a bloccare l’impianto. Era convinto che lui intralciasse i suoi progetti di lavoro e di guadagni. Un rapporto di odio di cui non si faceva mistero. Secondo i giudici di appello, Giacomo Bozzoli aveva un “odio ostinato e incontenibile” nei confronti dello zio, che era titolare della fonderia al 50% con il padre di Giacomo, Aldo, tanto da ritenere la vittima “colpevole sia di lucrare dalla società dei proventi sia di intralciare i suoi progetti imprenditoriali”.

Ma nel caso rientra anche la morte dell’operaio Giuseppe Girardini, addetto al forno, che si suicidò ingerendo una capsula di cianuro. Secondo la procura aveva il ruolo di complice nell’omicidio: fu delle ultime persone ad aver visto Mario Bozzoli in vita. Teste chiave del processo, l’ex fidanzata Jessica: “Mi disse che avrei dovuto prender la sua auto e percorrere l’autostrada in modo che il telepass rilevasse il passaggio”. Un depistaggio. Lui nel frattempo avrebbe ucciso lo zio.

La storia proseguì in tribunale, poi in appello, dove due giorni fa è stata confermata la condanna a Bozzoli all’ergastolo per omicidio aggravato. La sentenza del carcere a vita è diventata definitiva lunedì 1 luglio. Ma di lui nessuna traccia. Il pericolo di fuga non gli era stato mai contestato: “Bozzoli è sempre stato disponibile e reperibile. Altrimenti avremmo agito in modo diverso – ha dichiarato il magistrato Pier Luigi Maria Dell’Osso -. Nell’ultima settimana, magari, in previsione della sentenza fissata in Cassazione, si è portati a ritenere che fosse in qualche modo monitorato”; eanche lunedì scorso, durante all’udienza Roma, suo padre Adelio e fratello di Mario si era detto convinto che Giacomo fosse alla casa sul lago. Lì non è stato trovato e secondo i vicini mancherebbe da una decina di giorni. C’è chi assicura: ha le ore contate.

Redazione

Autore