Giampiero Zurlo realizza la sua Utopia: “Fatturiamo 800mila euro al mese, la regola numero uno è imparare a dire no”

Giampiero Zurlo, classe 1983. Fondatore del Gruppo Utopia di cui sei Presidente del C.d.A. e Amministratore Delegato, poi Chairman di Utopia Bruxelles. Ma anche Presidente del C.d.A. di Urania Media e Consigliere di Amministrazione di Base per Altezza.

Hai creduto in questo settore da giovanissimo, dopo un’importante esperienza all’interno delle istituzioni e l’addio alla professione di avvocato.

«Fondare e far crescere un’azienda è stata tra le cose più entusiasmanti, formative e difficili che abbia mai fatto. E certo le difficoltà aumentano con il crescere della dimensione societaria – in questo il contesto italiano non aiuta – ma anche quando sei assalito dai dubbi e dalle difficoltà più grandi guardi a quello che sei riuscito a costruire, e continui con ancora più convinzione. Un proverbio arabo dice: non arrenderti mai, rischieresti di farlo un minuto prima del miracolo. Se dovessi fondare oggi UTOPIA rischierei di avere un approccio più razionale. Eppure le idee migliori non vengono dalla ragione, ma dalla lucida e visionaria follia. Come ha scritto Erasmo da Rotterdam e come mi è stato insegnato. Per questo tutte le volte che rifletto sui nuovi investimenti, e la fredda ragione mi suggerirebbe di non procedere, penso che se avessi usato solo il metro più rigido, oggi UTOPIA stessa potrebbe non esistere. La follia però da sola non basta, va mescolata con le giuste dosi di ferrea volontà, rigorosa disciplina e laboriosa perseveranza. Ho creduto in un sogno, e ho la fortuna di averlo visto realizzarsi, anche se siamo ancora all’inizio. Come ha detto Walt Disney: la differenza tra un sogno e un obiettivo è solo la data».

Com’è stato all’inizio muoversi in un terreno battuto da elefanti, e com’è stato il passaggio dall’altro lato della barricata?

«Tutti mi dicevano che non ci sarebbe stato spazio per una nuova società di lobbying, che ero troppo giovane, che l’Italia era un mercato difficile, ma io ero assolutamente convinto. Ne parlai, in un pranzo indimenticabile all’Osteria della Pigna, con Claudio Velardi, oggi come allora punto di riferimento. Su quello che mi disse ci sono delle divergenze di ricordi (ride, ndr). Fatto sta che mi dimisi da consigliere giuridico del Gruppo “Il Popolo della Libertà” in Commissione Politiche dell’UE alla Camera. Avevo 27 anni. I primi mesi sono stati difficilissimi. Spesi tutti i soldi del primo cliente per far ristrutturare e arredare il nostro primo ufficio in Via Barberini. Dovevamo sembrare sin da subito una società grande e strutturata. E così fu: tutti entravano e rimanevano sbalorditi. Ma certi mesi avevamo difficoltà anche a pagare l’affitto. Per un mese di canone, dopo quasi 10 anni di autonomia economica, di cui sono sempre andato fiero, dovetti chiedere 6.000 euro a mia madre, che si preoccupò, per usare un eufemismo. Avevo lasciato un incarico alla Camera per fondare una non meglio precisata azienda, per cui chiedevo soldi a casa. Capisci lo shock di una madre del sud. Oggi il gruppo fattura più di 800.000 euro al mese, e penso che dietro ogni impresa di successo c’è qualcuno che un giorno ha preso una decisione coraggiosa».

Quali sono le letture che hanno condizionato il tuo modo di pensare?

«Non solo Tommaso Moro con la sua meravigliosa “Utopia” ma anche Erasmo da Rotterdam con “l’Elogio della Follia”, e tutti i grandi autori della biblioteca dell’Utopia. Tutte opere che Marcello Dell’Utri faceva pubblicare dalla Silvio Berlusconi Editore come strenna natalizia di Publitalia. Da “La Città del Sole” di Campanella a “La Nuova Atlantide” di Bacone, dal “Principe” di Macchiavelli (annotato da Napoleone) al “De Monarchia” di Dante, poi il “Pinocchio” di Collodi. Ma c’era anche il “Manifesto del Partito Comunista”. Sono le più belle opere dell’umanità dedicate al concetto di Utopia, e costituiscono la base della mia formazione non giuridica. Hanno ispirato il nome della società e la sua stessa essenza. E continuano a ispirare me in ogni azione. Mi hanno insegnato che la strada verso il raggiungimento di una grande utopia è il più bel viaggio che si possa compiere in vita, sacrifici inclusi. Anzi il sacrificio è un elemento imprescindibile».

Hai fondato un giornale che si chiama The Watcher Post, hai acquisito quote di progetti editoriali come Formiche e Healthcare Policy, hai assunto registi e tecnici creando degli studios in-house. Che importanza sta assumendo l’editoria nell’offerta dei servizi integrati e quali sono i tuoi prossimi passi?

«Diceva Eschilo che quando gli uomini pianificano gli Dei ridono. E infatti poco di quello che è diventata oggi la nostra realtà editoriale era stato pianificato dal principio. Abbiamo fondato The Watcher Post nel 2015 come blog, per avere uno spazio di confronto nel rapporto tra politica e imprese. Nel 2016 The Watcher è diventato un giornale online. Poi è arrivata la pandemia e abbiamo trasformato la nostra nuova sala conferenze di Largo Chigi, appena ristrutturata ma inutilizzabile, in uno studio TV. È avvenuto semplicemente perché non ci si poteva incontrare, e avevamo a disposizione uno spazio per oltre 100 persone. Gli UTOPIA Studios – oggi presenti a Roma, Milano e Bruxelles – sono stati un successo, e la simbiosi con The Watcher Post, e i format tv dedicati all’approfondimento politico-economico hanno consentito la crescita del giornale, che da pochi mesi è sbarcato a Bruxelles con una redazione internazionale. Ma se negli anni precedenti non avessimo investito nel digitale, sviluppando la Divisione Strategie Digitali, non avremmo avuto il know how per gestire le nuove complessità. Se prima ancora non avessimo avuto il coraggio di aprire una nostra sub-holding belga non avremmo avuto pronta la piattaforma internazionale su cui oggi girano i nuovi progetti. La fortuna aiuta la mente preparata, e noi senza saperlo ci stavamo preparando a entrare in un nuovo mercato. Abbiamo quindi deciso di espanderci nel segmento del mercato editoriale dedicato alle istituzioni e alle imprese, fondando la sub-holding editoriale URANIA, diventando una media company ed entrando nel capitale di Base per Altezza, che edita Formiche, Healthcare Policy, Air Press e Decode39. L’attività di lobbying e public affairs è il pilastro da cui è partita la nostra avventura aziendale, ma oggi è solo un aspetto del nostro lavoro quotidiano. Abbiamo sempre sperimentato e investito in mercati attigui, e così siamo passati dal public affairs agli affari legali, dalla comunicazione alla produzione di contenuti digitali fino all’editoria. Pezzi fondamentali di un grande puzzle. Sono convinto che si debba avere una visione ampia e più moderna degli strumenti con i quali il privato interagisce con le istituzioni e gli stakeholders. Stiamo diventando la piattaforma di advocacy più grande del mercato. Il prossimo passo? Magari a breve compreremo un canale tv».

Al Talent Prize, il premio internazionale di arti visive dedicato ai giovani talenti, esiste un premio speciale UTOPIA. È una bella attività di mecenatismo. Mi spieghi come e perché nasce quest’idea?

«Sono felice di questa domanda, perché si tratta di uno dei progetti a cui sono più affezionato. L’arte è la forma espressiva per eccellenza. Alcune opere ti esplodono dentro, le senti con un improvviso brivido che parte dalla pelle. Ogni artista compie il proprio viaggio metafisico verso l’utopia e prova a trasmetterlo ai fruitori dell’opera. Alcuni artisti, con la loro genialità, riescono a trasmettere il concetto di utopia in modo immediato, più di ogni altra forma di espressione, rispetto ad esempio alla scrittura che ha i suoi tempi più lunghi. Abbiamo quindi istituito il premio speciale UTOPIA chiedendo ai giovani artisti internazionali di ideare un’opera che potesse esprimerla al meglio. La sintonia con le opere è immediata. Così in questi anni ho scoperto alcuni grandi utopisti dell’arte. L’ultimo è TvBoy, il famoso street artist che ha immortalato l’accordo tra Lega e Movimento 5 stelle in un bacio tra Salvini e Di Maio. Le sue opere raccontano la storia politica degli ultimi anni meglio di tanti strumenti di analisi».

Gira voce che ad ogni dipendente regali un vademecum valoriale, un kit del perfetto lobbista. Sempre che non si tratti di un manuale segreto…

«(Ride al telefono, ndr) Sei talmente informato che secondo me sei riuscito ad averne una copia. È il vademecum di UTOPIA, contiene la nostra storia, i valori della società e le buone pratiche per tutti i nostri professionisti. È importante per ogni nuovo collaboratore conoscere la storia della società in cui entra, così come i valori e i principi su cui si fonda, e perché no anche qualche semplice trucchetto del mestiere. C’è un paragrafo dedicato a come si gestisce e si interagisce con il cliente: in Università non lo insegnano. È anche un piccolo manuale di leadership che contiene le teorie dei grandi pensatori internazionali del management. Fino a qualche anno fa riuscivo a passare più tempo con ogni professionista. Oggi che stiamo per raggiungere i 100 collaboratori, e che il tempo è sempre meno, ho affidato una piccola parte di formazione anche al vademecum. Conoscere e gestire sé stessi è molto difficile, ed è la base della leadership. Ma la vera difficoltà è gestire un gruppo di professionisti con esperienze e competenze diversificate. Alleniamo costantemente il nostro team in particolare ad abbracciare il cambiamento e la diversità, perché ogni anno UTOPIA non è mai uguale a sé stessa. La nostra regola è sempre una: continuare a migliorarsi, ininterrottamente, giorno dopo giorno. Migliorare sé stessi e la propria azienda. E soprattutto aiutare le persone che lavorano con te a farlo. Credo sia il principale compito della leadership: fornire agli altri gli strumenti per diventare a loro volta dei leader».

Quindi quali sono i caratteri del bravo professionista oggi?

«Il mercato del lobbying in Italia è cresciuto molto, ora devono crescere anche i professionisti del settore, in termini numerici e qualitativi. Le Università non riescono a stare dietro alle competenze integrate che – credo – serviranno nei prossimi anni. Guardo alla nostra realtà: ogni anno riceviamo oltre 2.000 curricula, pochissimi passano i nostri test. Ormai assumiamo persone con la consapevolezza che dovranno essere ancora formate. Soprattutto perché il nostro modo di fare advocacy è appunto diventato multimediale e multipiattaforma. Abbiamo quindi bisogno di nuove competenze, sempre più integrate. Non è più possibile avere solo competenze verticali, di settore. Bisogna conoscere perfettamente tanto i procedimenti legislativi quanto il funzionamento dei media – vecchi e nuovi – e ovviamente il settore tematico di riferimento. Bisogna uscire dai vecchi schemi. Il tempo che maggiormente investiamo in azienda è infatti quello per far dialogare professionisti con competenze differenti, perché ognuno capisca il punto di vista dell’altro e agiscano in simbiosi nell’interesse del cliente. Lobbying e comunicazione sono due facce della stessa identica medaglia. Anzi, se alla classica medaglia sostituiamo un cubo, avendo a disposizione più facce, dobbiamo aggiungere anche le competenze legali, digitali e editoriali. Tutto è intrinsecamente connesso. Se vuoi essere attivamente parte del processo pubblico devi saper usare tutti gli strumenti che la democrazia ti mette a disposizione, in modo lecito e professionale. E ormai è irrinunciabile anche la conoscenza dell’intelligenza artificiale».

Scusa mi inviti a nozze, voi la state utilizzando?

«In pochi lo sanno ma dal 2018 UTOPIA ha investito in KPI6, una start up innovativa per l’analisi dei dati sui social, allora incubata in Luiss EnLabs. Successivamente abbiamo sviluppato un nostro software interno – che chiamiamo Tommy, sempre in onore a Thomas More – che assolve a diverse funzioni. Da poco abbiamo collegato Tommy a chatGPT, e il risultato è impressionante. Non sappiamo ancora dove ci porteranno queste ricerche, ma una cosa è certa: il nostro lavoro non sarà più come prima. Molte analisi verranno demandate agli algoritmi. Al Professionista sarà affidata la capacità di verificare la correttezza dei dati e la fase di execution».

Ti sei dichiarato liberale pro-impresa, pro-mercato, pro-lavoro e pro-crescita. Credi di aver trasmesso questi valori alle tue aziende e pensi che questo approccio possa avere anche un impatto positivo per il Paese?

«Quello che facciamo tutti i giorni dalle nostre scrivanie impatta realmente sul sistema Paese sotto il profilo istituzionale, economico, sociale e mediatico. Siamo policy maker, non molto diversamente da chi siede nelle Istituzioni, e opinion maker come altri giornali e media. Il nostro mantra è supportare le aziende nel dialogo con le istituzioni, e aiutare le Istituzioni a decidere nell’interesse collettivo. È un compito molto aulico, che va esercitato con responsabilità e professionalità. Per questo siamo sempre più convinti di poter contribuire fattivamente al cambiamento del nostro Paese, un cliente alla volta. Changing the world one client at a time, è proprio il nostro claim».

Come si svolge una giornata tipo di Giampiero Zurlo e quante ore dorme a notte?

«Questa deve avertela detta qualcuno dei miei che viene disturbato agli orari più impensabili, ma sto cercando di migliorare. Sono un monaco aziendale, privo di distrazioni: inizio presto, finisco molto tardi. E quindi dormo poco, e a tratti. Tra due blocchi di sonno capita di scrivere a qualcuno dei collaboratori più stretti per qualche allucinazione notturna che poi ci sforziamo di tramutare in realtà. La verità è che il tempo è la risorsa più scarsa di chi fa questo lavoro. E serve tempo per gestire bene il tempo. La regola numero uno è imparare a dire no. È difficilissimo. Le giornate non sono mai uguali ma provo sempre a completarle scrivendo qualche riflessione sull’andamento dell’azienda, leggendo qualche pagina di un libro (preferibilmente di management), pensando a quello che di positivo mi ha circondato durante il giorno, ma soprattutto – anche se non mi basta mai – provo a stare con mia figlia. Ho sentito tante storie di imprenditori di successo che hanno avuto sempre e solo un rimorso: non aver passato abbastanza tempo con la propria famiglia».

Scusa e allora, anche se forse so già la risposta… Posso chiederti quali sono stati i tuoi maestri e quali insegnamenti ti sono rimasti impressi?

«Non è un segreto: Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi. Dell’Utri per me è stato più di un maestro. Provo per lui l’affetto e la riconoscenza più profondi. Se non lo avessi incontrato oggi racconterei tutt’altra storia. A lui devo principalmente la passione per l’Utopia, che – per dirla con le sue parole – “ogni giorno viaggia al nostro fianco, si camuffa da speranza, ci interroga e noi le rispondiamo; non ha un ruolo specifico per la nostra anima, eppure è essenziale; è un sogno a cui siamo sempre invitati; rende grandi i piccoli e sopportabili i saggi; è aperta a tutti, non costa”. Gli insegnamenti di Silvio Berlusconi necessiterebbero di un’altra intervista, ma basti questo: “chi vuole può diventare anche un Re”. Lui credeva molto nelle self-fulfilling prophecies, le profezie che si autoavverano. Insegnava a pensare positivo e a sognare in grande, perché a furia di raccontarlo, il sogno, per forza di cose si realizza. Senza di loro non ci sarebbe UTOPIA».

Ultima: flash. In un mercato così movimentato, con interessi particolari che arrivano dall’estero, voi non avete in cantiere fusioni con realtà internazionali?

«In molti stanno vendendo a fondi stranieri. UTOPIA ha ricevuto delle offerte? Sì. Sono andato a sondarle? La prima, sono sincero, perché ero curioso di sapere quanto valessimo per loro. Eppure sono talmente certo della direzione del mercato che dentro di me ho una convinzione: UTOPIA non vende, compra. Con serenità, e con questo approccio voglio sviluppare la mia idea di società. Avrò bisogno di ulteriori risorse, ma non voglio spersonalizzare l’offerta con la creazione di nuovi colossi. Ne esistono già decine nel mondo. Noi invece siamo qui a coltivare, giorno dopo giorno, passo dopo passo, la nostra utopia».