«La sardità? Senza questo carattere non ce l’avrei fatta. Ho avuto passaggi difficili, mi hanno salvato l’educazione, i miei genitori Ignazio e Giovanna, la famiglia, gli amici». Gianfranco Zola, dna che sa di buono. Il baronetto della Regina si gode scampoli di vacanze con la moglie Franca, i figli Andrea e Samuele. La primogenita Martina, terza nel 2023 ai mondiali di jiu-jitsu a Las Vegas, è negli States. Il fantasista di Nuorese, Torres, Napoli, Parma, Chelsea e Cagliari, 58 anni, originario di Oliena, ha chiuso con 798 gare e 238 reti. In Nazionale 35 e 10. Tra Inghilterra – 229 gare e 59 reti, in Premier è l’italiano che ha giocato di più – e Italia ha colto 10 trofei. Dallo scudetto di Napoli alle coppe con il Chelsea. Con i Blues, da vice di Maurizio Sarri, ha vinto l’Europa League. Talento sopraffino, umiltà, altruismo e rispetto. In campo e fuori.

Zola, quali sono le pagine opache?
«L’addio al Parma, la nazionale, qualche panchina nel Cagliari».

Partiamo dalla maglia azzurra.
«Il “rosso” con la Nigeria a Usa ’94: era il 5 luglio, il mio peggior compleanno! Poi, il rigore paratomi dal tedesco Köpke agli Europei ’96. Con l’Italia avrei voluto dare di più. Ma non ho mai mollato: dopo i mondiali, al Parma siamo arrivati secondi, vinto Coppa e Supercoppa Uefa. Ho segnato 19 gol e sono arrivato sesto nel Pallone d’oro».

Con il segno più brilla la sua magia-vincente a Wembley.
«Quella rete è tra le più care della mia carriera. Ero da poco al Chelsea, John Terry e gli altri non parlavano d’altro. Pensavano di travolgerci. Ma non scordo il gol al Norwich di tacco. Lo dedicai a un piccolo tifoso, stroncato da un male incurabile».

Diceva di Cagliari, da lei riportato in A con Edy Reja.
«In A avrei potuto giocare un altro anno. Me lo chiesero, dissi di no. Ho chiuso con due gol alla Juve. Avevo 38 anni, doveva andare così».

La stessa Juve che all’andata costrinse al pari battendo di testa Buffon tra giganti come Thuram e Zebinà!
«Ho ringraziato Brambilla, il cross era perfetto».

Roman Abramovič, neo proprietario del Chelsea, su input di José Mourinho, ha detto al presidente del Cagliari Massimo Cellino: «Mi ridia Zola». Al diniego del patron sardo, ha replicato: «Compro il club, quanto costa?»…
«(ride). Il Chelsea mi chiese di tornare, avevo già dato la parola al Cagliari».

Rimpianti?
«No. Lasciare un club che puntava a vincere la Champions per andare in B, forse è stato anomalo. Ma sognavo di portare in Sardegna le mie esperienze. È stata una scelta di cuore».

 Per le gioie, partiamo dal Napoli?
«Aver incrociato Diego Maradona è stata la mia fortuna. Lui e Careca erano fenomenali. Si ricamava calcio».

Oltre a Dieguito chi?

«Paolo Maldini e Roby Baggio: unici».

Ha giocato nel periodo dei grandi numeri 10, Totti, Del Piero, Mancini. L’ha penalizzata?
«No, era uno stimolo. Ho imparato da tutti».

Adesso siete nella Hall of fame della Federcalcio.
«Una bella compagnia, ci sono Zidane, Platini, Falcao, Batistuta».

Al Chelsea con Vialli avete diviso tanto.
«A volte avevamo visioni diverse, ma ci siamo confrontati con rispetto. Gianluca aveva valori importanti».

Com’è stata la questione wasabi a Londra?
«Provo a scordarla! Cercavo casa, non sapevo dove andare a cena. Gianluca mi porta al ristorante giapponese e mi fa provare il wasabi. Ne misi così tanto sul pane che quasi finii in ospedale!».

A Londra, dopo aver strimpellato il piano dalla prima padrona di casa a Napoli, ha incontrato alcuni grandi della musica, da Peter Gabriel a Elton John. Qual è il flash?
«Peter Gabriel è un artista eccezionale. Ha casa in Sardegna, ci incontriamo spesso. Elton John andai a sentirlo alla Royal Albert Hall. Era matto di pallone, presiedeva il Watford. Mi chiamò sul palco e mi chiese di accompagnarlo mentre cantava “Your song”. Tremo ancora!».

Hanno scritto del suo appeal con la tifoseria tanto che alla British library, alla raccolta fondi per il restauro di libri antichi, ha messo su più sterline di Sean Connery e Kathleen Turner.
«Aderii con piacere alla richiesta di uno studioso. Misero a posto un volume che parlava della Sardegna».

Adesso, da vicepresidente della Lega Pro guidata da Matteo Marani, come va?
«Molto bene. Matteo è un treno, c’è tanto da fare. Ho conosciuto mondi diversi tra Italia e Inghilterra. Non sono un politico, ma sono nato nella C: giovani, tecnica e gestione sana sono gli obiettivi».

Passo indietro. Ronaldinho l’ha voluta alla partita d’addio, Kevin Keegan ha detto che lei «ha tirato fuori dalla scatola dei trucchi cose che al calcio inglese hanno fatto bene». Franco Baresi diceva che «nell’uno contro uno ho avuto paura solo di Maradona, Francescoli e Zola»…
«Grandissimi campioni, parole che non scordo. Forse, eccessive».

 Stiamo all’attualità. Chi vince lo scudetto?
«Corrono Inter e Napoli ma occhio ad Atalanta e Juve».

 Con chi le sarebbe piaciuto giocare?
«Con Ronaldo il fenomeno. Tra quelli in attività, con Kvaratskhelia, mi ricorda George Best».

La sua top undici?
«Ci provo: Buffon, Ferrara, Baresi, Desailly, Maldini, Lampard, Albertini, Di Matteo; Maradona, Roby Baggio, Careca e Asprilla. In panca, Peruzzi, Benarrivo, Francini, Poyet, Wise, Casiraghi, Vialli, Asprilla. E io».

 Deledda, Lussu, Gramsci, monumenti di sardità. Con chi vorrebbe chiacchierare?
«Grazia Deledda, vicina ai miei luoghi. Mi hanno chiesto di lei ovunque».