2 019. Gianluca Callipo, 37 anni, già esponente del Partito democratico, Coordinatore nazionale di Anci giovani e Presidente di Anci Calabria, è una giovane promessa della politica. Nel 2014 è candidato alle primarie per la scelta del candidato Governatore della Calabria. Nel 2017 è eletto per la seconda volta Sindaco del Comune di Pizzo Calabro con il 62,27% dei voti. Sembra destinato a una brillante carriera, almeno fino al 19 dicembre 2019. All’alba di quel drammatico giorno scatta il maxi blitz dell’operazione nota come Rinascita Scott, condotta dalla Distrettuale Antimafia di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri. Nella rete finisce, tra i nomi eccellenti, anche lui, con accuse pesanti: concorso esterno in associazione mafiosa e abuso d’ufficio con l’aggravante mafiosa. E anche le conseguenze non sono da meno: per lui si aprono le porte del carcere, mentre il Comune sarà sciolto per mafia e commissariato.

Dottore Callipo, partiamo da quella drammatica notte. Cosa ha provato e pensato quando si è visto bussare alla porta ed è stato ammanettato dai militari dell’Arma dei Carabinieri?
Quando aprii la porta, alle 3:30 di notte, e mi trovai i Carabinieri che mi comunicavano che stavano eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, all’inizio non ci potevo credere, mi sembrava impossibile quello che stava succedendo. Entrarono consegnandomi due scatoloni contenenti una trentina di faldoni e dicendomi che al loro interno avrei trovato le accuse per le quali mi stavano arrestando. Due scatoli pieni di documenti. Provai a sfogliare alcune delle migliaia di pagine ma capii ben poco, sia per la difficoltà di trovare le informazioni che mi riguardavano sia per quanto fossi scioccato. Sapevo di essere una persona onesta, di aver amministrato il mio Comune rispettando le Leggi e nell’interesse della comunità, ma soprattutto di non aver mai operato per avvantaggiare la ‘Ndrangheta, dunque pensai che qualunque accusa fosse ipotizzata si sarebbe chiarita in fretta. Solo nelle settimane successive ho acquisito la consapevolezza che sarebbe stato tutto molto più difficile, anche perché tutto quello che dicevo, dall’interrogatorio di garanzia agli atti che presentavo, non scalfivano minimamente le convinzioni dell’accusa. Passare dalla sera alla mattina dall’essere una persona perbene, la cui parola viene tenuta in considerazione, al venire considerato un delinquente, le cui parole non hanno alcuna credibilità, è una delle cose che è stata per me più umiliante.

Dopo 7 mesi di carcere, la Cassazione la scarcera annullando l’ordinanza custodiale, addirittura senza rinvio. Per i Giudici Supremi non ci sono i gravi indizi. Una sonora bocciatura dell’impianto accusatorio. Alla fine del processo, gli assolti saranno 131 su 330 imputati (di cui 260 sottoposti a misure cautelari), il 38%. Una cifra enorme. Com’è riuscito a convivere con questo dramma?
Mi considero una persona fortunata perché ho sempre avuto la capacità di affrontare grandi sofferenze mantenendo vivi la speranza, l’ottimismo e la convinzione che ne sarei uscito magari più forte. Subire la carcerazione, da innocente, genera rabbia e sfiducia. Nel mio caso questi sentimenti, una volta libero, si sono trasformati in nuove consapevolezze, come quella del valore del tempo e di come lo utilizziamo nella vita che ci è concessa. Oggi mi sono riappropriato della capacità di gestire il mio tempo avendo priorità diverse, con al primo posto il tempo per i miei figli, per i miei affetti e per me stesso. Diciamo che vivo una seconda vita, non so se meglio o peggio di prima, ma sicuramente con priorità diverse. Non mi sono riappropriato della vita che facevo ma ne sto costruendo una nuova.

“Male non fare paura non avere”, ha scritto. “Ma a volte si è costretti ad avere paura”. Ed è la paura che ha provato quando il Procuratore Gratteri ha chiesto per lei 18 anni di carcere, nonostante la pronuncia della Cassazione. Segue l’assoluzione del Tribunale di Vibo e l’appello della Procura che, alla fine, decide di rinunciare all’impugnazione. Come ha giudicato un’accusa che, dapprima invoca per lei 18 anni di carcere, e, poi, senza chiedere scusa, ammette nella sostanza di avere sbagliato e decide di fermarsi? Ed ancora, come possiamo far comprendere che la spinta autoritaria non produce maggiore sicurezza, ma solo minore libertà?
Ammetto che ho vissuto con amarezza la modalità con cui la Procura ha rinunciato all’appello mentre il secondo grado di giudizio era già in corso, anche perché ha fatto leva sull’abrogazione dell’abuso d’ufficio ma le accuse a me rivolte e per le quali sono stato arrestato erano quelle ben più gravi di concorso esterno in associazione mafiosa e di scambio politico elettorale aggravato. In uno Stato forte, penso che la severità e l’autorevolezza non si dimostrino usando armi potenti, ma affermando in maniera assoluta una Giustizia giusta, che deve essere tale anche nelle fasi che precedono il processo, anzi, forse soprattutto in queste. Non siamo fascicoli da aprire e chiudere come se nulla fosse successo. A me è capitato questo. Per rispondere alla seconda parte della domanda, comprendo che all’antimafia siano concessi poteri straordinari, perché la lotta alla criminalità è prioritaria per tutelare i cittadini, ma proprio perché si tratta di poteri eccezionali, che possono incidere sull’esistenza delle persone, vanno usati con estrema cautela. Quando nel loro utilizzo si colpiscono persone innocenti, non solo si fa un favore alla mafia, soprattutto si distrugge l’entusiasmo della parte perbene di una intera comunità e si allontanano dall’impegno civico, politico, imprenditoriale, persone che da quei cattivi esempi si bloccano per paura e traggono la conclusione: “Chi me lo fa fare ad espormi?”.

Lei ha definito l’esperienza giudiziaria “uno dei momenti più brutti della mia vita. Ma non il più buio”. L’allusione è a quando, da ragazzino, rimase orfano di entrambi i genitori a causa di un incidente stradale. Una vicenda dolorosa che non ha spento la sua umanità. Anzi. Lei scrive in un suo post molto toccante: “C’è una umanità struggente nei luoghi di sofferenza, e solidarietà, comprensione, professionalità”. Cosa pensa delle condizioni delle carceri, dei molti suicidi che siamo costretti a registrare nell’indifferenza generale?
Penso che la forza di uno Stato si misuri anche da quanto è in grado di aiutare i cittadini più deboli e, certamente, chi si trova in carcere ha bisogno della presenza dello Stato e non dell’abbandono. Capisco che viviamo un’epoca di giustizialismo, in cui con troppa facilità l’opinione pubblica augura il peggio a chi viene tratto in arresto, ma la classe dirigente dovrebbe avere il coraggio di intervenire su condizioni troppo spesso degradanti, che certamente non aiutano a credere nelle istituzioni e non educano al rispetto delle regole. Subire la privazione della libertà è una tragedia immane, soprattutto se chi la subisce non l’ha meritata. Non trovo parole per descrivere cosa si prova, ma è qualcosa che non augurerei a nessuno. Allo stesso tempo voglio dire che non ho mai trovato un luogo con un senso di comunità così forte. Io sono stato rinchiuso nella sezione di alta sicurezza del carcere di Cosenza e posso dire che mi ha colpito il senso di comunità delle persone con le quali ho convissuto per sette lunghi mesi. Sei privato di ogni comodità della “vita normale”, ma in quel luogo quel poco che ognuno ha o riceve lo mette a disposizione di tutti, a prescindere da chi tu sia. Ti ritrovi ad essere assistito da chi vive quella stessa condizione da più tempo di te, aiutato, sostenuto ed anche da parte degli agenti di polizia penitenziaria ho trovato sempre grande umanità oltre che professionalità.

Crede ancora nella giustizia? E, poi, tornerà a fare politica? Quali sono i suoi progetti per il futuro?
Nel mio caso alla fine i giudici mi hanno dato ragione, quindi sì, ancora ci credo. Ma occorre una presa di coscienza da parte degli inquirenti e della magistratura giudicante nell’utilizzare come un bisturi armi potenti come la carcerazione preventiva. Allo stesso tempo spero ci possa essere in futuro una giustizia e una stampa che siano maggiormente rispettosi del principio di non colpevolezza degli imputati che, quasi sempre, si trovano condannati dall’opinione pubblica solo sulla base di pubblicazione di atti d’indagine e senza contraddittorio. In merito all’eventuale ritorno in politica sono ancora troppo scosso per assecondare il desiderio del ritorno. Io ho subìto tre processi, scaturiti essenzialmente da Rinascita Scott, in tutti e tre sono stato assolto e con me anche tutti gli altri soggetti della sfera politico-amministrativa del Comune di Pizzo, peraltro anche esso sciolto solo sulla base delle medesime accuse e senza l’invio della commissione di accesso. Dopo tutte queste vicende, iniziate nel dicembre 2019 e finite solo tra il 2024 ed il 2025, non ho l’entusiasmo necessario per tornare in campo, pur sapendo di deludere i tanti che continuano a chiedermelo.

Giuseppe Sardanelli - Giuseppe Mario Aloi

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